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Cronaca

"Ha diritto alla pensione anticipata anche la vittima di sangue infetto", condanna per l'Inps

L'istituto di previdenza aveva negato la possibilità di aderire all'Ape sociale ad un lavoratore affetto da epatite C perché percepisce già un indennizzo dallo Stato. Il giudice del Lavoro - con un sentenza che costituisce un importante precedente - ha invece accolto la richiesta: "Nessuna incompatibilità"

Ha diritto ad avere la pensione anticipata, attraverso il così detto Ape sociale, anche chi riceve un indennizzo dallo Stato perché vittima di una trasfusione da sangue infetto. A deciderlo - ed è una sentenza destinata a costituire un precedente importante a livello nazionale - è stato il giudice del Lavoro, Livio Fiorani, che ha accolto il ricorso di un lavoratore, difeso dagli avvocati Antonino Paleologo e Giuseppe Giambanco, e condannato l'Inps che invece aveva respinto l'istanza.

Al centro del processo c'è la storia di un uomo di 65 anni, oggi affetto da epatite C degenerata in cirrosi, in seguito ad una trasfusione di sangue infetto alla quale era stato sottoposto tanti anni fa. Il 4 gennaio del 2018, quando aveva 63 anni, il lavoratore aveva deciso di aderire all'Ape sociale, la misura che - con precisi requisiti - consente di andare in pensione prima dei 67 anni. Tuttavia, il 25 settembre di quello stesso anno, l'Inps aveva rigettato la sua domanda, ritenendola  incompatibile "con altra pensione a lei intestata", come avevano scritto dagli uffici. L'uomo, in realtà, non percepisce un'altra pensione, ma solo l'indennizzo dello Stato per risarcirlo dalla trasfusione di sangue infetto e dalle patologie che gli ha provocato. Da qui la decisione di fare causa all'isituto di previdenza.

L'Inps, davanti al giudice, ha ribadito la propria posizione, sostenendo che le norme che prevedono e regolano l'Ape sociale indicano tra le cause di esclusione "la titolarità di trattamento pensionistico diretto e ciò al di là della natura di quest'ultimo, sia previdenziale (privilegiato o calcolato in base ai contributi versati), sia indennitario (per danno subito)".

Un'argomentazione che, però, non ha convinto il giudice, che ha ritenuto invece "fondato e meritevole di accoglimento il ricorso" del lavoratore. Come si legge nella sentenza, infatti, le somme già percepite dall'uomo hanno "la finalità di garantire un indennizzo - a carico dello Stato ed ispirato al principio di solidarietà sociale - a quanti abbiano riportato gravi danni in conseguenza di determinati trattatamenti sanitari a cui si siano sottoposti. I relativi benefici economici sono erogati a prescindere dal reddito del richiedente, sono esenti dalle imposte sui redditi e sono cumulabili con altre eventuali provvidenze economiche percepite a qualsiasi titolo". Inoltre, "non risulta un'espressa causa di esclusione" per questi soggetti e "va quindi riconosciuto il diritto del ricorrente alla percezione dell'indennità e l'Inps va condannato al pagamento di quanto dovuto, oltre interessi legali sulle singole rate e fino al soddisfo". L'istituto è stato anche condannato a pagare le spese di giudizio.

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