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Cronaca Tribunali-Castellammare / Via dei Cassari

Omicidio alla Vucciria, le intercettazioni: "Ho comprato la pistola ieri e mi sono andato a rovinare!"

Dall'ordinanza emessa dal gip per i tre accusati di aver ucciso Emanuele Burgio viene fuori che "tre anni fa" uno di loro sarebbe stato "preso a bastonate" dalla vittima. A portare l'arma sarebbe stato il più giovane dei Romano, Giovan Battista, ma si cercano almeno sei complici. Nonostante le decine di testimoni per ora prevale l'omertà

"L'ho comprata ieri sera da un tunisino, 200 euro e mi sono andato a consumare", è questo che dice Matteo Romano, uno degli indagati per l'omicidio di Emanuele Burgio, riferendosi all'arma utilizzata per ammazzare il giovane in via dei Cassari. Una pistola che non è stata ritrovata, mentre gli investigatori sul luogo del delitto, oltre a "una vistosa macchia" di sangue, hanno rinvenuto tre bossoli calibro 9 e un'ogiva. Ma dalle intercettazioni captate nella saletta della squadra mobile la sera del fermo, si apprende anche un altro fatto: "Glielo hai detto che tre anni fa ti aveva scannato a bastonate?", afferma infatti il fratello di Matteo Romano, Domenico, accusato anche lui dell'omicidio. Un elemento che fa comprendere che gli attriti tra la vittima e gli indagati potrebbero risalire anche a molto tempo fa ed orientare quindi il movente in una direzione diversa dallo screzio per un semplice incidente stradale avvenuto una decina di giorni prima dell'omicidio.

La caccia ai complici e l'omertà

Le intercettazioni emergono dall'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Piergiorgio Morosini, che ha disposto il carcere anche per Giovan Battista Romano, figlio di Domenico, che avrebbe peraltro portato l'arma quella sera alla Vucciria. Dal provvedimento, inoltre, viene fuori che ci sarebbero dei complici: i Romano si sarebbero presentati al locale della famiglia Burgio, la trattoria "Zia Pina", con "altri 6 soggetti", a bordo di "4 scooter". Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Giovanni Antoci e Federica Paiola proseguono. Finora, come purtroppo è accaduto per altri fatti di sangue, nonostante la presenza di tanti testimoni, è prevalsa l'omertà.

"Ci siamo andati a rovinare!"

Nell'ordinanza vengono ricostruite le varie fasi del delitto e il gip mette in evidenza come i Romano, difesi dall'avvocato Vincenzo Giambruno, "hanno tutti confermato, in tempi e con modalità diverse, la propria partecipazione all'azione, dichiarando anche di essersi riconosciuti nei video acquisiti dalla polizia". Tanto che, sempre intercettato nella saletta della squadra mobile, Domenico Romano afferma: "Dice (si riferisce a un investigatore, ndr): 'Venga qui! Questo è suo fratello? Questo è lei? Questo è suo figlio?', io avevo due palle tante! Ci siamo andati a rovinare! Ci siamo andati a rovinare!".

Il giudice non crede alle dichiarazioni di uno degli arrestati

Il gip non ha creduto alle dichiarazioni rese proprio da Domenico Romano durante l'udienza di convalida, l'unico dei tre che ha risposto alle domande. Avrebbe fornito "una versione reticente e, in alcune significative parti, in contrasto con le emergenze investigative" ed "è parso reticente in ordine ai motivi della decisione di recarsi, in piena notte e oltre l'orario previsto dal 'coprifuoco' (di ben due ore), alla Vucciria, nonché alla circostanza relativa alla compresenza sul luogo del delitto di altre persone oltre alla vittima, ai tre indagati".

"La vittima aveva già umiliato e picchiato i Romano"

E sottolinea che si tratterebbe di "una versione assai poco credibile", perché "ha negato di sapere che il figlio Giovan Battista o il fratello Matteo erano armati, prospettando come una coincidenza l'incontro con Burgio, nonostante quest'ultimo, in precedenti occasioni, per stessa ammissione di Domenico Romano, avesse umiliato il figlio e il fratello precuotendoli senza alcuna ragione e provocando loro delle ferite".

Il mistero del movente e il pestaggio di 3 anni fa

Gli screzi, secondo la ricostruzione della Procura, sarebbero stati diversi nel tempo. L'ultimo sarebbe nato dal fatto che un parente di Burgio avrebbe toccato con lo specchietto un braccio di Giovan Battista Romano che si sarebbe permesso di reagire, dicendo "ma che minchia fai?". Un episodio che sarebbe avvenuto una decina di giorni prima del delitto e che avrebbe portato la vittima ad andare a cercare il giovane al Borgo e a dargli anche una testata. Dalle intercettazioni, però, viene fuori anche un altro pestaggio risalente a "tre anni fa". A cosa era legato? Peraltro in questo caso lo scontro sarebbe temporalmente più vicino ad una vicenda in cui sarebbe stato coinvolto Burgio, ovvero il trasporto di 33 chili di hashish da Vicenza a Palermo, per cui era imputato in un processo in corso in tribunale.

Gli inquirenti si stanno concentrando proprio sul movente del delitto, per cercare di capire cosa lo abbia realmente scatenato. Allo stato però vengono escluse connessioni con Cosa nostra (anche se il padre della vittima è Filippo Burgio, condannato a 9 anni per mafia, e i Romano sono fratelli e nipote di Davide Romano, il boss del Borgo incaprettato nel 2011) e con il mondo dello spaccio.

La chiamata al 112 e la morte al Policlinico

Il gip ricostruisce le fasi salienti della notte tra domenica e lunedì, quando il cadavere di Burgio è rimasto sulle balate della Vucciria. A mezzanotte e 54 minuti del 31 maggio arriva una chiamata al 112 che segnala colpi di arma da fuoco in via dei Cassari. Poco dopo, all'1.08 al triage del pronto soccorso del Policlinico viene registrato l'arrivo di Burgio già in arresto cardiocircolatorio: i medici cercano di salvarlo, ma all'1.30 non possono che constatarne il decesso e che la vittima è stata raggiunta dai proiettili al petto e alla schiena.

Il cugino della vittima: "Ero lì, ho sentito gli spari e ho cercato di soccorrerlo"

Ad accompagnare Burgio in ospedale è stato un suo cugino che ha sostenuto di aver "assistito all'assassinio non rendendosene conto". Ovvero avrebbe sentito gli spari e visto scappare le decine di persone che erano presenti alla Vucciria e, dopo aver visto la vittima a terra, l'aveva caricata nella sua macchina e portata in ospedale. Sarebbe stato aiutato da altre persone che, tuttavia, ha sostenuto di non conoscere.

La macchia di sangue, i bossoli e i video

La polizia è arrivata in via dei Cassari qualche minuto dopo l'omicidio, all'una di notte. Gli investigatori hanno subito notato una "vistosa macchia" di sangue ed altre tracce tra i civici 33 e 39 della strada e hanno anche ritrovato tre bossoli calibro 9 e un'ogiva. Non lontano c'era pure la macchina di Burgio, una Mercedes Glc 250. Per risalire agli indagati, sono state fondamentali le immagini riprese dalle telecamere di sorveglianza e, oltre ai video, contro di loro ci sarebbero anche gli abiti ritrovati nelle loro abitazioni, che sarebbero quelli indossati al momento dell'omicidio.

"E' Giovan Battista Romano a portare l'arma"

Il gip ripercorre le tappe dell'omicidio: "L'autore materiale dell'omicidio giunge sul luogo con altri 6 soggetti a bordo di 4 scooter provenienti da via dei Chiavettieri. Nello specifico si tratta di uno scooter Honda Sh bianco con paravento e bauletto, di una Vespa con bauletto, di un Beverly e di un altro mezzo non meglio identificato" e chi spara a Burgio "è un uomo calvo", ovvero Matteo Romano, secondo gli inquirenti, ma "ad armare la sua mano è il nipote, Giovan Battista, immortalato mentre porge la pistola allo zio". L'uomo più anziano inquadrato è invece Domenico Romano.

Le intercettazioni nella saletta della Mobile

Ci sono poi le intercettazioni alla squadra mobile, negli uffici diretti da Rodolfo Ruperti. Matteo Romano afferma: "L'ho comprata ieri sera da un tunisino, 200 euro e mi sono andato a consumare", parlando della pistola, e il fratello Domenico sostiene invece: "Dice: 'Venga qui! Questo è suo fratello? Questo è lei? Questo è suo figlio?', io avevo due palle tante! Ci siamo andati a rovinare! Ci siamo andati a rovinare!". E poi aggiunge rivolgendosi a Matteo: "Glielo hai detto che tre anni fa ti aveva scannato a bastonate?" e lui risponde "Sì al Calamaro".

"Un omicidio premeditato"

Per il giudice, "l'omicidio è frutto di un premeditato progetto omicidiario dei tre fermati, probabilmente con la complicità di altre persone allo stato non identificate" e "Matteo Romano ha esploso i colpi di arma da fuoco, Giovan Battista si è recato a parlare con Burgio portando con sé la pistola e, successivamente, dopo averla estratta, nascondendola dietro la schiena, l'ha passata allo zio Matteo, Domenico Romano si è recato sul posto con i suoi parenti, ben consapevole del comune proposito omicidiario (...) ha inseguito la vittima in fuga unitamente al fratello ed al figlio". E sottolinea "la particolare aggressività e la pervicacia mostrata nell'esecuzione dell'omicidio" oltre "alla gravità dell'ipotesi delittuosa, l'agevole reperimento dell'arma con cui è stato compiuto il misfatto".

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