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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

Dopo 9 anni c'è il dna ma non il killer di Ninni Giarrusso, la nipote: "Pentiti e costituisciti"

Il 30 aprile del 2012 la donna venne massacrata con 27 coltellate nel suo negozio di parrucche di via Dante. Nonostante la preziosa traccia genetica e le tante piste scandagliate l'assassino non è mai stato individuato. "Come quel giorno ha avuto il coraggio di compiere questa atrocità, oggi lo trovi per dirci la verità"

L'elemento più prezioso per l'indagine - il dna dell'assassino - è stato individuato dagli investigatori il giorno stesso dell'omicidio. Eppure, ad esattamente nove anni da quel 30 aprile del 2012, l'uomo che ha barbaramente ucciso con 27 coltellate Antonietta Gianrusso, "Ninni" come la chiamavano tutti, 65 anni, titolare del negozio di parrucche di via Dante, conficcandole anche un paio di forbici nella gola, non ha né un volto né un nome. Uno dei delitti più efferati avvenuti in città - peraltro in una zona molto centrale e in pieno giorno - resta dunque un mistero. Ma anche un dolore profondo, impossibile da elaborare perché porta con sé soltanto domande e nessuna risposta, per i famigliari della vittima, in particolare per la nipote prediletta, Daniela Carlino, che da sempre si batte per ottenere giustizia e trovare la verità.

"Oggi chiedo all'assassino di pentirsi e costituirsi, chiedo al Signore di illuminare il suo percorso: come quel giorno ha avuto il coraggio di aprire la porta del negozio e compiere quell'atrocità, oggi lo trovi per togliersi questo peso dalla coscienza e dare a noi un po' di pace". Sono parole disarmanti, quelle di Daniela Carlino, che amava la zia come una madre: "Sono cresciuta con lei, il nostro era un legame viscerale, non riesco a non pensarla senza piangere". E infatti si commuove anche al telefono e ghiaccia chi l'ascolta quando descrive "la sensazione di gelo che ho provato entrando quella mattina nel negozio, vedendola a terra senza vita, con una tenda verde addosso...".

Il dna dell'assassino

E' proprio sulla tenda verde che venne ritrovata una traccia di sangue dell'assassino e da lì fu poi isolato il dna. Un uomo, che - le modalità del delitto non lasciano dubbi - ha agito per impeto, spinto da sentimenti estremamente intensi. E che tuttavia ebbe la lucidità di lavarsi le mani prima di abbandonare l'attività di via Dante e di portare con sé il manico del coltello che aveva appena usato per massacrare Antonietta Giarrusso: accanto al corpo ne fu trovata infatti soltanto la lama. L'arma si spezzò proprio per la violenza con cui l'assassino si accanì sulla vittima. 

Lo strano suicidio

Oggi, come ogni anno, sarà celebrata una messa nella chiesa di San Francesco di Paola per ricordare la "signorina Ninni", mentre sul fronte giudiziario, a dispetto della tenacia e della determinazione del sostituto procuratore Renza Cescon, si è in una fase di stallo: si spera nella riesumazione della salma di un transessuale, che conosceva la vittima e l'aveva incontrata il giorno prima dell'omicidio, e che si impiccò pochi giorni dopo il delitto, il 3 maggio. All'inizio fu esclusa una connessione tra i due fatti, ma ora l'obiettivo è confrontare il dna del suicida con quello trovato sulla tenda del negozio.

La nipote: "Ora l'assassino si penta"

"Ringrazio la Procura e la squadra mobile per tutto il loro lavoro - dice Daniela Carlino - ma ancora purtroppo non c'è quella svolta che possa consentirci di rintracciare chi ha ucciso mia zia. Ad oggi c'è ancora un assassino a piede libero. Non vogliamo vendetta, ma giustizia e spero che Dio illumini la strada di quest'uomo, che lo porti a costituirsi. Comunque io non mi arrenderò finché non si scoprirà la verità", afferma con forza. 

Il mazzo di chiavi e l'agendina

Antonietta Giarrusso quella mattina venne vista da diverse persone mentre fumava davanti al suo negozio. Era una donna dal carattere forte e deciso, indipendente e schietta, ma benvoluta e rispettata. L'assassino non ebbe bisogno di forzare la porta per entrare nel negozio di parrucche, frequentato anche da tanti malati di tumori, o perché la trovò aperta o perché fu proprio la vittima ad aprirgli. Sta di fatto che dopo l'omicidio il killer richiuse quella porta a chiave e che il secondo mazzo della parruccaia non è mai stato ritrovato. Così come l'agendina che la vittima teneva nel portafoglio e in cui custodiva i numeri di telefono. Che il nome dell'assassino fosse scritto proprio lì e da qui la cura di portarla via?

Le forbici piantate in gola

La donna era stata colpita 27 volte e le era stato piantato macabramente anche un paio di forbici in gola. Tra gli inquirenti c'è chi ha visto un segno preciso in questo gesto: la volontà di zittire e far tacere per sempre la "signorina Ninni". Perché? Cosa sapeva o cosa aveva detto che potesse portare ad una violenza bestiale come quella utilizzata per eliminarla?

Nessuno vide nulla

Un altro dato sul quale la famiglia della vittima non si rassegna è che l'assassino subito dopo il delitto uscì per strada, quasi certamente sporco di sangue, e - pur essendo in piena via Dante, in pieno giorno - nessuno si sarebbe accorto di lui. Al vaglio degli inquirenti ci sono i filmati delle telecamere di sorveglianza di diversi negozi: nessuno degli obiettivi ha però inquadrato la porta del negozio. 

La rapina e il barbone

La prima - fallimentare - pista battuta fu quella della rapina e dopo poche ore fu fermato un barbone, lui sì ripreso dalle telecamere vicino al negozio di parrucche. Tutto sfumò rapidamente: nella cassa del negozio c'erano ben 1.400 euro e l'uomo sospettato non c'entrava nulla. Avendo il dna dell'assassino, per l'epoca, si fecero tanti test (quasi una trentina) per cercare di trovare quello giusto. Gli investigatori, però, si concentrarono tra i parenti e i conoscenti più stretti della vittima senza raggiungere alcun esito. L'assassino era/è altrove.

Le altre piste

Non erano tante le persone che potevano avere motivi di rancore nei confronti di Antonietta Giarrusso, che peraltro non aveva problemi economici, ma si scandagliarono comunque altre piste: una collaboratrice che aveva avviato una causa contro la vittima, il legame con il transessuale suicida, il caso del pescivendolo che non avrebbe onorato un debito. Zero assoluto. Come si rivelò un nulla di fatto l'ultima pista, vagliata nel 2019, che portava ad un metronotte: l'uomo, secondo un testimone, la mattina del 30 aprile del 2012 andò a cercare la vittima al negozio. Il suo dna però non combacia con quello ritrovato sulla tenda. 

Il marito e la gelosia

Antonietta Giarrusso si era sposata quasi in segreto con un uomo molto più grande di lei, un novantenne, che nel frattempo è deceduto. "Negli ultimi tempi era diventato pesante, geloso - dice Daniela Carlino - così mi raccontò mia zia". Anche in questo caso, tuttavia, il dna non combaciò con quello del killer. 

Il gip: "Conosceva chi l'ha uccisa"

Il gip Lorenzo Jannelli, quando il fascicolo venne archiviato per la prima volta a ottobre del 2014, scrisse chiaramente che era stata "seguita ogni pista investigativa" e "senza tralasciare alcuna ipotesi, persino la più remota". Ma escludeva che potesse essersi trattato del "gesto di un balordo", soprattutto "vista l'efferatezza" del delitto, ed era convinto che "la donna conosceva il suo assassino". Dopo tanti anni, purtroppo, non si sono fatti grandi passi avanti rispetto a questo quadro.

"Il mio cuore diviso a metà"

"Da quel giorno - conclude Daniela Carlino - ho il cuore diviso a metà. Due settimane prima dell'omicidio era nato uno dei miei figli e ricordo che in quel periodo le persone da un lato mi facevano gli auguri per il bambino e dall'altro mi davano le condoglianze per la zia. Oggi provo la stessa cosa: i miei figli, la mia famiglia, mi danno la forza di andare avanti, ma in fondo sono ancora ferma lì, davanti al corpo della zia, con lo stesso freddo addosso e le stesse terribili domande".
 

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