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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Capaci

Nuova inchiesta sull'omicidio di Santo Alario, indagati pure i fratelli dell'unico imputato

Per Giovanni Guzzardo, che si era allontanato con la vittima da Capaci a febbraio 2018 e che è stato assolto in primo grado, sta per aprirsi il processo d'appello. Ma la Procura di Termini adesso contesta il concorso nel delitto anche ai suoi parenti, Giuseppe e Roberto, finora sospettati solo di aver nascosto il cadavere

Mentre sta per aprirsi il processo d’appello a carico di Giovanni Guzzardo, 48 anni, assolto in primo grado a luglio dell’anno scorso dall’accusa di aver ucciso Santo Alario, 42 anni, l’uomo col quale si era allontanato da Capaci il 7 febbraio 2018 alla volta di Ventimiglia di Sicilia, finiscono sotto inchiesta per l’omicidio anche i fratelli dell’imputato, Giuseppe e Roberto, finora indagati soltanto per l’occultamento del cadavere della vittima.

La nuova inchiesta per l'omicidio

La scomparsa di Alario è tuttora un giallo: il gup di Termini Imerese, Stefania Gallì, che aveva scagionato Guzzardo, accogliendo le tesi degli avvocati Nino e Marco Zanghì e Vincenzo Lo Re, nelle motivazioni del verdetto aveva infatti ritenuto “provato oltre ogni ragionevole dubbio l’omicidio” della vittima (escludendo quindi un allontanamento volontario o un suicidio), ritenendo però innocente l’unico imputato per il delitto. Il procuratore di Termini, Ambrogio Cartosio, ed il sostituto Daniele Di Maggio restano convinti invece della colpevolezza di Guzzardo, tanto da aver appellato la sentenza, ma evidentemente - alla luce della nuova inchiesta - ipotizzano anche che sia stato aiutato dai fratelli.

La scomparsa

Guzzardo, incensurato, e Alario, con una lunga lista di precedenti, si erano allontanati su una Panda il primo il 7 febbraio del 2018. Lungo la strada per Ventimiglia, la vittima aveva inviato alcuni messaggi alla compagna, mostrandole non solo i luoghi in cui si trovava, ma rassicurandola anche sul fatto che la sera sarebbe andata prenderla al centro commerciale di Carini dove la donna si trovava. Invece l’uomo da quel momento è sparito nel nulla.

L'accusa di omicidio

L’auto venne ritrovata aperta alcuni giorni dopo, vicino alla diga Rosamarina. Per ben tre mesi era scomparso anche Guzzardo che, però, venne poi rintracciato in un casolare nelle campagne di Caccamo dove deteneva anche un fucile. In poco tempo era stato accusato di aver ucciso Alario, di averne nascosto il cadavere e di essersi poi dato alla macchia. Il fatto che inizialmente Guzzardo fosse rimasto in silenzio aveva contribuito ad addensare i sospetti su di lui. Tanto che poi era finito a processo per l’omicidio, anche se gli accertamenti sul fucile avevano dimostrato che l’arma non avrebbe sparato recentemente e non era stato neppure trovato il cadavere di Alario.

La pista romana

Una pista portava addirittura alla possibilità che la vittima fosse ancora viva: a luglio 2018, durante lo sgombero di un campo rom a Roma, infatti, un uomo con tratti molto simili a quelli di Alario era stato inquadrato dalle telecamere di diverse televisioni. La famiglia aveva escluso che fosse lui, anche per via di un tatuaggio, ma la difesa, con una consulenza, aveva dimostrato che i tratti somatici tra i due uomini fossero compatibili al 74 per cento. Il tatuaggio avrebbe potuto essere stato fatto anche dopo la scomparsa.

La versione dell'imputato

Guzzardo aveva poi fornito una sua versione: avrebbe sì accompagnato Alario, ma ad un certo punto questi avrebbe incontrato delle persone e, ritenendole poco raccomandabili, l’imputato avrebbe deciso di scappare a piedi, abbandonando la vittima e pure la macchina. Da quel momento, le celle agganciate dai telefonini dei due sarebbero tutte nel territorio di Caccamo, ma non sarebbero le stesse. Dietro al presunto e misterioso incontro di Alario con altre persone non si è scartato neppure ci potesse essere un qualche affare legato allo smercio di droga.

L'assoluzione

La Procura, nonostante il rito abbreviato, aveva comunque chiesto l’ergastolo per Guzzardo, ma il giudice, ritenendo il “quadro probatorio contrassegnato da così tante, numerose ed intrinseche lacune e contraddizioni”, aveva deciso di assolverlo

Il ritrovamento del cadavere

A dicembre scorso c’era stato un altro colpo di scena perché alcuni resti ritrovati in contrada Gurgo, nelle campagne di Caccamo, nei mesi precedenti, con il test del dna erano stati attribuiti dal Ris dei carabinieri ad Alario. A quel punto, quindi, c’era anche il cadavere. Ma anche le condizioni in cui è stato ritrovato hanno aperto un altro giallo: non si trattava infatti di uno scheletro intero, ma di decine di piccoli frammenti ossei, tra i quali mancavano tutte le vertebre e buona parte dei denti. Resti che, peraltro, non erano stati ritrovati all’interno dei vestiti - rimasti invece integri - ma sparpagliati in un’area di circa 20 metri.

L'appello e la nuova inchiesta

Gli accertamenti sul cadavere sono inseriti nell’appello presentato dalla Procura. Che siano di Alario lo dimostrerebbe la comparazione con il dna della madre, che avrebbe confermato “un rapporto di parentela verticale (madre/figlio)”, che fa ritenere agli inquirenti che sarebbe “788 mila volte più probabile” che le ossa siano di Alario e non di un’altra persone. A questo si è aggiunto anche un altro confronto, con il dna prelevato da un maglione che la vittima avrebbe lasciato sulla Panda di Guzzardo. Anche in questo caso l’esito sarebbe pienamente positivo. Tuttavia, come sostengono gli avvocati dell’imputato, questo accertamento irripetibile sarebbe stato compiuto senza avvisare la difesa, che dunque non avrebbe potuto fare le proprie verifiche. Se così fosse, potrebbe quindi essere nullo. Ed è uno dei temi che sarà senz’altro discusso durante il processo d’appello. Intanto, però, come dimostra l’avviso di garanzia recapitato ai fratelli di Guzzardo, stavolta con l’accusa anche di omicidio, la Procura sta lavorando anche su un’altra pista.

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