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Giovedì, 18 Aprile 2024
Cronaca Caccamo

Roberta Siragusa 4 giorni prima dell'omicidio diceva a un amico: "So che Pietro mi ammazzerà"

Le chat disperate emergono dalle motivazioni della sentenza con cui il fidanzato della diciassettenne di Caccamo, uccisa a gennaio 2021, è stato condannato all'ergastolo. In un anno per ben 33 volte la ragazza avrebbe riferito di violenze subite ed inviato anche le foto di lesioni e segni sul corpo: "Se lo lascio mi ucciderà..."

Era consapevole che sarebbe stata uccisa e si sarebbe ritrovata in un vicolo cieco, dove restare assieme alla persona che infligge violenza diventa paradossalmente - agli occhi di che le subisce e non sa come chiedere aiuto e difendersi - più sicuro che lasciarla. Roberta Siragusa, la diciassettenne uccisa a Caccamo nella notte tra il 23 e il 24 gennaio del 2021, appena 4 giorni prima di morire scriveva ad un amico a proposito di quello era il suo fidanzato, Pietro Morreale: "E' un bastardo, ho paura, non lo lascerò mai, mi ammazzerà".

I giudici: "Uccisa con modalità atroci, si è finta morta per sfuggire all'assassino"

Parole terribili che emergono nelle 138 pagine con cui la seconda sezione della Corte d'Assise, presieduta da Vincenzo Terranova (a latere Mauro Terranova) motiva la condanna all'ergastolo proprio di Morreale, unico imputato per il delitto della giovane. Come ricostruiscono i giudici, la ragazza avrebbe subito diverse violenze da parte del giovane e proprio il 20 gennaio 2021 raccontava: "Voleva ammazzarmi, ha aperto il cofano e ha preso una corda e degli attrezzi e mi veniva contro, mi sento male...". Aggiungendo che "per farlo calmare gli ho dovuto dire che lo amo, che non lo lascerò mai, mi sono sentita morire... E' un bastardo, ho paura, non lo lascerò mai, mi ammazzerà..."

L'amico dal canto suo avrebbe cercato di farle capire che quella situazione era pericolosa, ma nonostante tutto la vittima ripeteva, evidentemente terrorizzata: "Mi ammazza, me lo sento, mi ha messo la corda al collo, stava per stringere, mi sono fatta male anche alla dita per toglierla...".

La soluzione più semplice sarebbe stata quella di lasciare Morreale, ma per Roberta Siragusa sarebbe stata impraticabile: "Se lo lascio non posso fare neanche più una passeggiata da sola, mi ammazzerà... Se devo lasciarlo devo farlo davanti ai miei, perché se lo faccio quando siamo soli mi ammazza davvero...". Ed è proprio quello che, secondo i giudici, Morreale avrebbe effettivamente fatto qualche giorno dopo.

Analizzando i cellulari è emerso poi che almeno "33 volte nell'arco di un anno vi sono messaggi - scrive la Corte d'Assise nelle motivazioni della sentenza - in cui Roberta racconta di violenze subite all'amico" e spesso avrebbe inviato anche delle fotografie per documentare le lesioni patite: "Il 5 agosto 2020 aveva mandato un occhio nero, il 27 settembre successivo faceva vedere segni sul corpo, il 3 ottobre raccontava di essere stata afferrata per il collo e picchiata e aveva mandato altre foto, l'11 ottobre altre foto con segni sul corpo". 

Nel processo la famiglia si è costituita parte civile con l'assistenza degli avvocati Giovanni Castronovo, Maria La Verde, Sergio Burgio, Giuseppe Canzone. Parte civile anche il Comune di Caccamo, difeso dall'avvocato Maria Beatrice Scimeca, e alcune associazioni contro la violenza di genere.

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