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Martedì, 19 Marzo 2024
Cronaca Falsomiele

Ucciso con 57 coltellate da moglie e figli, il pg chiede di ridurre la condanna a 6 anni

La requisitoria durante il processo d'appello per l'omicidio di Pietro Ferrera, ammazzato il 14 dicembre del 2018 nella sua casa di Falsomiele. A Salvatrice Spataro, Mario e Vittorio Ferrera in primo grado con l'abbreviato erano stati inflitti 14 anni di carcere. Gli avvocati invocano nuovamente la legittima difesa

Dopo anni di soprusi e violenze, Salvatrice Spataro e i figli Mario e Vittorio Ferrera avevano ucciso con ben 57 coltellate il marito e padre, Pietro Ferrera, nella loro abitazione di via Falsomiele, il 14 dicembre del 2018. Un delitto atroce, per il quale i tre sono stati condannati in primo grado, con l'abbreviato a 14 anni di carcere ciascuno. Adesso è la stessa Procura generale, in appello, a chiedere però di ridurre significativamente la pena a 6 anni 2 mesi e 20 giorni.

Nella sua requisitoria, davanti alla prima sezione della Corte d'Assise d'Appello presieduta da Angelo Pellino, il pg Giuseppe Fici ha infatti chiesto di riconoscere come prevalenti le attenuanti generiche sulle aggravanti e pure di applicare agli imputati la diminuente dello stato d'ira.

La difesa, rappresentata dagli avvocati Giovanni Castronovo e Maria Simona La Verde, ha tentato sin dal primo grado la strada della legittima difesa, visti i pensantissimi maltrattamenti subiti dagli imputati per anni e la lite che sarebbe sorta quella sera dopo che la vittima avrebbe preteso un rapporto sessuale con la moglie. Una linea che è stata ribadita stamattina per Mario e Vittorio Ferrera, mentre per la madre gli avvocati hanno chiesto il riconoscimento dell'omicidio preterintenzionale, al posto di quello volontario, in quanto la donna avrebbe voluto soltanto ferire e non uccidere il marito (tanto che avrebbe dato la prima coltellata tra la spalla e il collo), oltre che il riconoscimento della diminuente dello stato d'ira. I giudici dovrebbero emettere la sentenza a giugno.

Una storia agghiacciante, quella al centro del processo. Salvatrice Spataro dopo l'omicidio raccontò che suo marito per anni le avrebbe inflitto ogni sorta di sofferenza: "Mi chiamava latrina", "non mi chiamava per nome", "ero un oggetto", spiegando che la vittima l'avrebbe persino costretta ad avere rapporti con dei transessuali, oltre a maltrattare continuamente i figli. Una storia orribile in cui il confine tra vittima e carnefice è davvero sottile. Tanto che, a marzo, in concomitanza con l'apertura del processo d'appello, si era tenuto anche un sit in davanti al palazzo di giustizia per chiedere l'assoluzione dei tre imputati, perché "salvarsi la pelle non può essere un reato", come avevano sostenuto i manifestanti.

In primo grado il gup Guglielmo Nicastro aveva escluso l'aggravante della crudeltà, ritenendo che Pietro Ferrera, a dispetto delle 57 coltellate, sarebbe comunque morto nell'arco di pochi minuti e non gli sarebbe stata inflitta quindi una sofferenza prolungata. Aveva respinto però la linea della legittima difesa e anche quella della provocazione: per il giudice, infatti, tutti i patimenti degli imputati si sarebbero scontrati col fatto che la sera del delitto non ci sarebbe stato "un pericolo attuale per gli imputati" e aveva anche considerato "la notevole sproporzione tra difesa e offesa". Per il gup "l'evento morte è stato perseguito come scopo finale dagli agenti" e in particolare i figli della vittima si sarebbero accaniti "su un uomo già morto".
 

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