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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca Falsomiele

Ucciso con 57 coltellate da moglie e figli, pene ridotte a 9 anni di carcere in appello

I giudici hanno deciso di rivedere al ribasso le condanne inflitte a Salvatrice Sapataro e a Mario e Vittorio Ferrera per l'omicidio di Pietro Ferrera, avvenuto il 14 dicembre del 2018 in via Falsomiele. In primo grado avevano avuto 14 anni a testa di reclusione. Il delitto sarebbe maturato dopo anni di maltrattamenti e umiliazioni

Avrebbero subito violenze, soprusi e umiliazioni per anni e la sera del 14 dicembre del 2018 ammazzarono con ben 57 coltellate l'uomo che avrebbe reso la loro vita un inferno, Pietro Ferrera, un ex militare. A massacrarlo nella loro abitazione di via Falsomiele furono la moglie, Salvatrice Spataro, e i figli, Mario e Vittorio Ferrera. Oggi la prima sezione della Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Angelo Pellino, ha deciso di ridurre le condanne a 9 anni di carcere. I tre imputati erano stati condannati a 14 anni, con il rito abbreviatom, in primo grado.

Il pg Giuseppe Fici aveva chiesto uno sconto più consistente rispetto alla sentenza emessa il 14 febbraio dell'anno scorso dal gup Gugliemo Nicastro, che aveva comunque escluso l'aggravante della crudeltà, ovvero una pena di 6 anni 2 mesi e 20 giorni di carcere a testa. Questo perché, secondo l'accusa, le attenuanti generiche avrebbero dovuto essere considerate prevalenti sulle aggravanti e anche perché a madre e figli avrebbe dovuto essere riconosciuta la diminuente dello stato d'ira. I giudici hanno accolto soltanto la prima richiesta, quella relativa alle attenuanti.

La difesa degli imputati, rappresentata dagli avvocati Giovanni Castronovo e Maria Simona La Verde, sin dall'inizio ha invece sostenuto la legittima difesa per i figli, sulla scorta dei pesantissimi maltrattamenti subiti per anni e anche perché sarebbero intervenuti quella sera soltanto per proteggere la madre. Per la donna, invece, gli avvocati hanno battuto la strada dell'omicidio preterintenzionale: l'imputata non avrebbe avuto l'intenzione di uccidere il marito, anche se questo alla fine era comunque accaduto.

Secondo il racconto degli imputati, che confessarono il delitto, quella sera Ferrera avrebbe preteso un rapporto sessuale dalla moglie, i due avrebbero litigato pesantemente, lei lo aveva accoltellato e i suoi figli sarebbero accorsi per salvarla dalle grinfie della vittima. Una ricostruzione che in primo grado non aveva pienamente convinto il giudice, che aveva escluso l'aggravante della crudeltà - Ferrera era morto nell'arco di pochi minuti e non avrebbe quindi patito alcuna sofferenza prolungata - ma aveva escluso anche la legittima difesa: il giorno dell'omicidio, per il gup, non ci sarebbe stato "un pericolo imminente per gli imputati" e ci sarebbe stata una "notevole sproporzione tra difesa e offesa". Inoltre, "l'evento morte - aveva scritto nelle motivazioni della sentenza - è stato perseguito come scopo finale dagli agenti" e i figli si sarebbero accaniti "su un uomo già morto".

La testimonianza fornita agli inquirenti da Salvatrice Spataro era agghiacciante. La donna avrebbe subito per anni sofferenze di ogni sorta: "Mi chiamava latrina", "non mi chiamava per nome", "ero un oggetto" e sarebbe stata costretta dal marito persino ad avere rapporti contro la sua volontà con dei transessuali. Anche i figli avrebbero subito violenze dal padre. Una storia orribile, in cui il confine tra vittima e carnefice è davvero estremamente sottile. 

La vicenda ha anche diviso l'opinione pubblica e in concomitanza con l'apertura del processo d'appello, a marzo, si era tenuto anche un sit in davanti al palazzo di giustizia per chiedere l'assoluzione degli imputati, perché "salvarsi la pelle non può essere un reato", come avevano sostenuto i manifestanti. I giudici oggi hanno deciso di concedere uno sconto di 5 anni ai tre imputati.

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