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Cronaca

"Ex infermiera uccise la figlia dopo aver perso alla lotteria", condanna confermata

Regge in appello la sentenza con cui ad Anna Cipresso, che lavorava al Civico, erano stati inflitti 3 anni per omicidio del consenziente: avrebbe iniettato una dose letale di farmaci alla figlia Elisabetta, in una stanza dell'hotel Archirafi nel 2014. Le due donne avrebbero sperato inutilmente di risolvere i loro problemi economici con un gratta e vinci

Affidarono la loro vita ad un biglietto della lotteria. Prese dalla disperazione, decisero che se non avessero vinto si sarebbero ammazzate. Quel gratta e vinci, la sera del 19 luglio del 2014 in una stanza dell'hotel Archirafi di via Lincoln, rappresentava infatti per madre e figlia l'unica soluzione per risolvere i loro gravi problemi economici. Il tagliando - come capita quasi sempre - non era vincente e così Anna Cipresso, 68 anni, ex infermiera del Civico, avrebbe iniettato una dose letale di farmaci alla figlia Elisabetta, uccidendola. Poi provò a suicidarsi, ma non ci riuscì. Oggi la seconda sezione della Corte d'Appello ha confermato la condanna a tre anni per la donna, accusata di omicidio del consenziente.

L'imputata è stata processata con il rito abbreviato e, già in primo grado, il 19 ottobre dell'anno scorso, le era stata riconosciuta la parziale incapacità di intendere e di volere al momento dei fatti, esattamente come richiesto dal suo avvocato, Antonio Cacioppo. Il reato contestato prevede pene dai 6 ai 15 anni di reclusione. Il pm Renza Cescon aveva chiesto una condanna a 6 anni al gup Giuliano Castiglia.

Una storia drammatica, quella al centro del processo. Le due donne avevano già tentato il suicidio qualche anno prima, peraltro, minacciando di dare fuoco all'abitazione di via Ughetti dalla quale erano state poi sfrattate. Avevano gravi problemi economici e quella sera in hotel pensarono di tentare il tutto per tutto con la lotteria. Il corpo di Elisabetta Cipresso fu trovato senza vita nella stanza, mentre la madre, sporca di sangue, dopo aver tentato inutilmente di uccidersi, era scesa a chidere aiuto.

Fu l'imputata, arrestata e subito rilasciata, a raccontare agli inquirenti di quella tragica sera: le due donne avevano acquistato dei gratta e vinci (nella stanza ne furono trovati decine, assieme a diverse confezioni di farmaci). Nessuno dei biglietti, però, portò loro la fortuna che cercavano e decisero di farla finita. Anna Cipresso riferì che la figlia si sarebbe ammazzata da sola e che lei "per amore, per accompagnarla nel suo percorso, per non restare sola" aveva deciso a sua volta di suicidarsi.

La Procura non ha mai creduto a questa ricostruzione dei fatti, ritenendo che fosse stata invece proprio la madre ad iniettare il Propofol (un potente anestetico) alla figlia. Il farmaco, infatti, ha un effetto quasi immediato e sarebbe stato impossibile secondo l'accusa che la vittima riuscisse ad iniettarsene una dose massiccia senza perdere prima i sensi. L'autopsia non riuscì a chiarire il punto. Finora, però, ha sempre retto la tesi dell'omicidio, seppure commesso su richiesta della stessa vittima.

La difesa, dal suo canto, ha sempre parlato di "una follia a due", sostenendo che le due donne non potessero essere realmente lucide quando presero quella decisione. Una perizia ha poi effettivamente confermato che Anna Cipresso non sarebbe stata pienamente in grado di intendere e di volere quella sera.

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