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Uccise il nipote per un post sgradito su Facebook, pena ridotta in appello

I giudici hanno inflitto 14 anni di carcere al posto dei 18 rimediati in primo grado ad Alfonso Vela per l'omicidio di Dino Salvato, avvenuto il 21 maggio del 2018 nella zona di via Decollati. Ribaltata invece la sentenza per un altro parente, Emanuele Marino, che è stato del tutto scagionato

Avrebbe pagato con due colpi di pistola alla testa un post su Facebook che suo zio, Alfonso Vela, non avrebbe gradito. E' per questo, secondo l'accusa, che Dino Salvato (nella foto), 29 anni, venne ucciso il 21 maggio del 2018 in fondo Picone, non lontano da via Decollati, nel quartiere Oreto. Oggi la Corte d'Assise d'Appello, presieduta da Angelo Pellino, ha deciso di ridurre da 18 a 14 anni la condanna inflitta a Vela e di assolvere Emanuele Marino (sono assistiti dagli avvocati Raffaele Bonsignore e Antonio Gargano), un altro parente di Vela accusato di favoreggiamento perché sarebbe stato presente al momento dell'omicidio e avrebbe anche aiutato l'assassino (reo confesso) a fuggire.

La moglie di Salvato, rimasta sola a crescere tre figli si è costituita parte civile nel processo, con l'assistenza dell'avvocato Alberto Raffadali e i giudici hanno confermato la provvisionale di 90 mila euro. In primo grado, a novembre dell'anno scorso, l'imputato era stato condannato a 18 anni di carcere con il rito abbreviato e Marino a due anni e 8 mesi dal gup Maria Cristina Sala, che aveva integralmente accolto le richieste dei sostituti procuratori Chiara Capoluongo e Bruno Brucoli.

Tra zio e nipote, entrambi raccoglitori di ferro, come aveva ricostruito la squadra mobile, i rapporti sarebbero stati molto tesi, ma ad armare la mano di Vela quel giorno sarebbe stato un articolo condiviso dalla vittima sul suo profilo Facebook, in cui si faceva riferimento ad un sequestro di ferro e rottami proprio a carico dell'imputato. Lo zio si sarebbe così convinto che il nipote avrebbe fatto lo "sbirro" e fosse l'autore di una sogffiata alle forze dell'ordine.

Dino Salvato-2Successivamente vi sarebbero state diverse discussioni tra i due finché, intorno alle 20.30, Salvato si sarebbe presentato su una Smart con un cugino vicino all'abitazione di Vela. Qui sarebbe stato presente anche Marino e, al posto di chiarirsi, lo scontro famigliare era invece degenerato fino a culminare nell'omicidio. L'imputato era poi fuggito, ma i poliziotti lo avevano rapidamente rintracciato: Vela aveva confessato e aveva anche fatto ritrovare l'arma utilizzata per sparare al nipote.

Durante l'interrogatorio di garanzia, Vela aveva poi sostenuto di aver agito per legittima difesa, raccontando che sarebbe stato il nipote a presentarsi all'appuntamento con la pistola e che gliel'avrebbe anche puntata contro. L'arma - secondo la versione dell'imputato - sarebbe però scivolata dalle mani di Salvato e lui, per salvarsi la vita, l'avrebbe recuperata a terra ed avrebbe poi sparato i due colpi. Un racconto che non ha mai convinto la Procura.

Inizialmente per la vicenda si era ipotizzato un regolamento di conti legato alla gestione dello smercio di droga, ma poi era emerso il movente terribilmente banale che aveva portato al delitto.

Omicidio in zona Oreto, la scena del delitto

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