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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Cronaca

"Cartella clinica falsificata dopo la morte di un neonato", ginecologhe e infermiera a processo

L'indagine era nata 11 anni fa alla clinica Candela. Il pm ha chiesto 4 volte l'archiviazione e poi il fascicolo è stato avocato dalla Procura generale. Il dibattimento inizierà a giugno, ma il reato si prescrive tra un anno e mezzo. La difesa: "Nessuna irregolarità"

Il gup Ermelinda Marfia ha rinviato a giudizio le ginecologhe Alessandra Cerrito e Carmelina Simonaro, oltre all'infermiera Giovanna Pollara: sono accusate di aver falsificato una cartella dopo la morte di un neonato,  avvenuta alla clinica Candela nel 2010. Per la Procura avrebbero aggiunto delle informazioni dopo il sequestro cartella. Il processo inizierà a giugno, davanti alla terza sezione del tribunale monocratico. Il reato di falso in atto pubblico contestato alle imputate si prescrive tra circa un anno e mezzo.

Il giudice, con una decisione che si può definire storica, ha peraltro individuato come responsabili civili - cioè chi dovrà eventualmente pagare il danno - non solo la casa di cura, ma anche l'assessorato alla Salute, riconoscendo dunque un implicito dovere di controllo e vigilanza da parte della Regione sulle strutture convenzionate.

Dieci anni di indagini e 4 richieste di archiviazione

E' una storia molto complessa quella al centro del processo, che ha avuto anche un iter giudiziario molto travagliato: ci sono voluti infatti dieci anni di indagini, quattro opposizioni alle altrettante richieste di archiviazione da parte della Procura per approdare ad un'avocazione del fascicolo da parte della Procura generale e giungere infine, a ottobre scorso, alla fissazione dell'udienza preliminare. Una lunga battaglia condotta dagli avvocati Nino Bullaro, Giuseppe Raimondi ed Alessandro Savoca, che assistono i genitori del bambino deceduto dopo il parto, Samuela Lo Re e Francesco Conigliaro.

L'inchiesta per la morte del bimbo

Tutto parte quando la donna, il 26 settembre del 2010, a 29 anni, entra alla clinica Candela per partorire il suo primo figlio. Le cose però si sarebbero complicate e, nonostante Samuela Lo Re avrebbe chiesto con insistenza un cesareo, i medici non l'avrebbero ritenuto necessario. Il piccolo era nato morto e la sua famiglia aveva presentato una denuncia, ipotizzando responsabilità da parte dei sanitari. La Procura aveva quindi aperto un'inchiesta per omicidio colposo e disposto il sequestro della cartella clinica. Siccome però il documento era informatico agli inquirenti sarebbe stata fornita una copia stampata. L'accusa per la quale le tre imputate sono state ora rinviate a giudizio nasce proprio in questa fase: per la Procura avrebbero infatti continuato a compilare e modificare la cartella clinica, fino a due giorni dopo il sequestro. Un falso in atto pubblico.

La presunta falsificazione della cartella

Mentre l'inchiesta per la morte del neonato era stata quasi subito archiviata, era rimasta aperta - e lo è stata per ben dieci anni - quella per la presunta falsificazione della cartella: secondo l'accusa, nel documento informatico sarebbero stati inseriti anche dati relativi a momenti precedenti al decesso del piccolo. Da allora, la Procura ha però chiesto quattro volte l'archiviazione anche di questo secondo fascicolo.

La difesa delle imputate: "Tutto regolare"

Gli avvocati delle ginecologhe e dell'infermiera, Sergio Monaco e Salvatore Forello, sostengono da sempre che la cartella era stata sequestrata il 26 settembre del 2010, ma la madre del bambino era rimasta invece in ospedale fino al 28: inevitabile che venissero aggiunti dei dati nel documento. Informazioni - dice sempre la difesa - che sarebbero state comunque tutte comunicate alla Procura, senza alcun dolo da parte delle imputate.

La perizia informatica

Durante le lunghissime indagini sul caso, nel 2016, era stata compiuta anche una perizia informatica che aveva messo in luce come "le osservazioni mediche ed infermieristiche erano state inserite nella cartella clinica solamente a parto avvenuto o con un ritardo che, rispetto al momento in cui sarebbero presuntivamente state eseguite, variava da due ore e un quarto a due giorni e mezzo". Sulla scorta di questi elementi il gip aveva ordinato alla Procura di iscrivere Cerrito, Simonaro e Pollara nel registro degli indagati, rimarcando che "integra il reato di falso materiale in atto pubblico l'alterazione di una cartella clinica mediante l'aggiunta di un'annotazione, ancorché vera, in un contesto cronologico successivo e, pertanto, diverso da quello reale" e che "né a tal fine rileva che il soggetto agisca per ristabilire la verità effettuale in quanto la cartella clinica acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione".

L'avocazione e la richiesta di rinvio a giudizio

Nel 2018, la Procura aveva però nuovamente chiesto di archiviare il fascicolo. Gli avvocati della famiglia si erano quindi rivolti alla Procura generale perché avocasse l'inchiesta. I pg Roberto Scarpinato e Maria Grazia Puliatti l'anno scorso avevano infine chiesto il rinvio a giudizio delle due ginecologhe e dell'infermiera. Che oggi, a quasi 11 anni dai fatti, è stato disposto dal gup.

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