Se la multa diventa un'odissea giudiziaria: 5 anni non bastano per recuperare 70 euro
La storia di un'automobilista sanzionata a febbraio del 2016 per divieto di sosta che ha contestato il verbale fino in Cassazione. I giudici nel 2019 le avevano dato ragione ma avevano dimenticato di concederle la restituzione dei soldi. Servirà un nuovo processo per ottenerli
La multa per divieto di sosta ha compiuto esattamente cinque anni il giorno prima che la Cassazione si pronunciasse - in modo peraltro non definitivo - sul ricorso di un'automobilista che, dal 2016, tenta di ottenere il rimborso di 70,41 euro dal Comune di Palermo. Un'odissea giudiziaria che, vista la somma in gioco, in tanti avrebbero forse persino rinunciato a fare.
La storia è banale quanto paradossale, come spesso capita nei palazzi di giustizia. L'automobilista viene sanzionata il 15 febbraio del 2016 perché, secondo la polizia municipale, ha lasciato la macchina in divieto di sosta. Rimedia così un verbale da 70,41 euro, che paga ma che senza perdere tempo decide anche di impugnare davanti al Giudice di Pace. Che però le dà torto.
La donna non si dà per vinta, convinta di avere ragione e fa appello al tribunale, chiedendo nuovamente l'annullamento della sanzione e il rimborso dei soldi che ha già versato al Comune. I giudici questa volta - a tre anni dai fatti, il 12 marzo del 2019 - accolgono il suo ricorso. Tuttavia dimenticano di concedere anche il diritto alla restituzione dei 70 euro e quindi, fosse anche solo per una questione di principio, l'automobilista si vede costretta a ricorrere in Cassazione.
Con un'ordinanza del 16 febbraio scorso, la sesta sezione civile, presieduta da Luigi Giovanni Lombardo, ha infine bacchettato il tribunale di Palermo e deciso di annullare con rinvio (quindi servirà un nuovo processo) la precedente decisione.
Nel provvedimento si legge che "la sentenza d'appello che, in riforma di quella di primo grado, annulli una sanzione amministrativa non fa sorgere il diritto alla restituzione degli importi pagati", occorrendo "un'apposita domanda in tal senso". Cosa che la donna aveva puntualmente fatto, ma senza esito. Tanto che la Cassazione scrive: "La mancata statuizione nel dispositivo della sentenza del tribunale di Palermo in ordine alla domanda di restituzione della somma corrisposta per la contravvenzione annullata configura il vizio di omessa pronuncia riguardo a quel capo denunciabile" e "incorre nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato il giudice che, accogliendo l'appello, ometta di ordinare la restituzione di quanto corrisposto in forza della decisione riformata, pur essendo stata ritualmente introdotta con l'atto di impugnazione la relativa domanda restitutoria".
Per questo la sentenza d'appello "va dunque cassata", dicono i giudici, e "rinviata al tribunale per riesaminare la domanda su cui è stata omessa la pronuncia" e che "regolerà anche le spese del giudizio". L'automobilista quindi per recuperare i 70,41 euro dovrà affrontare un nuovo processo e con buone probabilità forse tra un paio d'anni e al quarto grado di giudizio potrà finalmente chiudere il suo contenzioso con il Comune.