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Sabato, 20 Aprile 2024
Cronaca

La morte del ristoratore Ferreri, aperta un'inchiesta: disposta l'autopsia, sequestrate le cartelle cliniche

L'84enne è deceduto mentre era ricoverato al Maria Eleonora Hospital. I familiari hanno denunciato l'ospedale. La figlia a PalermoToday: "Tutto è iniziato da una ferita durante una pedicure, poi l'intervento di angioplastica. Non lo abbiamo potuto vedere, la sua ultima chiamata per dirci che stava morendo"

“Lui poteva vivere ancora, tutti devono sapere quello che gli hanno fatto”. I familiari di Ippolito Ferreri - noto ristoratore che la città di Palermo ricorderà sempre come il fondatore del bar Roney, di Chamade, ma anche di Charme - hanno presentato una denuncia contro il Maria Eleonora Hospital dopo la morte dell'84enne. "Era un vulcano di vita ed energie, mio padre non doveva morire così, non doveva morire adesso, non in questo modo. Voglio sapere che cosa è successo”. A riavvolgere il nastro di questo film dall’epilogo tragico è Cinthia Ferreri, una dei suoi quattro figli. Una ferita al piede dopo una pedicure, la corsa in ospedale, il ricovero lungo due mesi e infine un decesso su cui adesso gli inquirenti voglio vederci chiaro. Per questo il magistrato ha disposto il sequestro della salma, sulla quale verrà effettuata un'autopsia, e delle cartelle cliniche.

La pedicure e il piccolo taglio al mignolo

Tutto sarebbe iniziato da un semplice trattamento estetico. “Non posso ancora credere a quello che è successo - racconta a PalermoToday la figlia Cinthia Ferreri -. Questo calvario è iniziato dopo una pedicure. Un piccolo taglietto, pensavamo sarebbe stato necessario un po' di tempo per rimarginarsi. Così non è stato. Ecco perché siamo andati da un diabetologo che sospettò subito che mio padre potesse avere il diabete e, di conseguenza, il piede diabetico. A cascata dunque anche dei piccoli problemi di vascolarizzazione agli arti inferiori. Facciamo tutti gli esami del caso, anche angiologici, e una visita specialistica con un chirurgo plastico. Era un uomo di 84 anni in perfetta salute. Ogni mattina andava al bar a fare colazione. Amava la gente, socializzare e sorridere a tutti”.

Il ricovero per un'angioplastica di routine 

È il 7 luglio quando Ippolito Ferreri viene ricoverato a Villa Maria Eleonora. “Avrebbe dovuto fare un’angioplastica per questi problemi agli arti inferiori. Un intervento di routine. Peccato sia rimasto quasi due mesi ricoverato - racconta ancora la figlia - in condizioni precarie. La situazione è precipitata, degenerata senza che nessuno di noi fosse stato messo al corrente. Questa angioplastica non è andata a buon fine. Mio padre mi chiamò disperato: ‘Non ci sono riusciti, nonostante c'abbiamo provato per tre ore’. Risultato? Lì dove gli avevano inserito il catetere per fare l’angioplastica si era formato un aneurisma. Tutto ciò è stato detto a lui che ha perso la moglie, ovvero nostra madre, proprio per un aneurisma. Noi familiari per questa clinica non siamo mai esistiti”.

Le dimissioni e il nuovo intervento  

Dopo qualche giorno, Ferreri finisce di nuovo sotto i ferri. “Stavolta per un’operazione - racconta ancora la figlia -. Devono mettere un bypass artoinferiore. Entra in sala operatoria alle 9.30. Dopo 7 ore, finalmente, ci dicono che l'intervento è andato bene. Gli è stato messo questo bypass per far sì che il flusso sanguigno tornasse alla normalità. Viene portato in terapia intensiva, come è giusto che fosse, e dopo tre giorni viene dimesso. A casa però inizia l’inferno in terra. La febbre altissima, una terapia domiciliare senza antibiotici (dunque non adeguata) e una spiacevole sorpresa: lì dove era stata inserita la cannula per l’angioplastica c’era un’infezione purulenta. Ecco perché papà aveva la febbre così alta”.

L'infezione da stafilococco 

Ippolito ha un’infezione in corso che rende, di nuovo, immediato il ricovero. “Scopriamo che ha contratto lo stafilococco, un batterio che ha causato questa brutta infezione. Per due mesi non ci hanno permesso di vedere nostro padre - precisa a PalermoToday Cinthia Ferreri -. Lui ci mandava le foto di queste ferite. Ogni volta era una pugnalata. Tutti ci dicevano che era capriccioso, che voleva mangiare bene per come era stato abituato, che voleva stare con la gente e che avendo capito di essere malato aveva sviluppato una sorta di depressione. Di contro ci rassicuravano, ci dicevano che clinicamente fosse tutto a posto. Mio padre era la vita. Era gioia pura, un vulcano. La notte mi mandava messaggi e mi scriveva ‘Vi prego, aiutatemi che qui non mi assiste nessuno’. Io chiamavo il centralino, chiedevo che qualcuno andasse da lui. Mi diceva che l’unica cosa che facevano per lui era il cambio flebo. Ma lui stava male e non veniva creduto”.

"Sto morendo, nessuno mi dà aiuto" 

Ippolito dunque passa da una nuova valutazione medica. “C’era l’infezione, andava curata - puntualizza - ma per i medici mio padre era solo depresso, lamentoso, capriccioso, come se fosse pazzo. Come deve sentirsi una figlia che nel cuore della notte sente le grida disperate di un padre che le dice ‘Nessuno pensa a me, sto morendo e nessuno mi dà aiuto’?. Mi sono sentita come una mamma che ha un bambino piccolo, lontano, a cui viene proibito di accudirlo. A Ferragosto sono andata lì, in clinica, dicendo che volevo parlare con qualcuno, avevo bisogno di capire cosa stesse succedendo a mio padre. Mi hanno risposto che dal punto di vista clinico era perfetto, ma che fosse solo depresso secondo loro per via di questo ricovero così lungo”.

L'intervento d'urgenza e pochi giorni dopo la morte 

In tre giorni, però, la situazione è precipitata e Ferreri è morto. “Il 17 mattina papà mi chiama e mi dice ‘Cinthia sto malissimo, io sto morendo, sto morendo, non mi abbandonate’. Gli avevano detto che gli avrebbero dovuto fare una trasfusione di sangue per via dell’emocromo basso. Chiamo, chiedo informazioni perché per via del Covid continuavano a proibirci di entrare anche per 5 minuti. Nessuno mi dice cosa sta capitando. Mi comunicano soltanto, a cose fatte, che mio padre era stato operato d’urgenza un'altra volta: aveva un’emorragia al muscolo tra l’inguine e il pube, lì proprio dove c’era la ferita causata dalla famosa angioplastica andata a vuoto”.

L'autopsia per fare luce sulle cause del decesso 

La salma del ristoratore e le due cartelle cliniche sono state sequestrate dal magistrato che ha aperto un’inchiesta. Sarà l’autopsia a fare luce sulle cause del decesso. “Vederlo soffrire così, senza un motivo, ci ha distrutto - prosegue una delle quattro figlie di Ferreri -. Mio padre è morto da solo, abbandonato a se stesso, dopo due mesi di calvario e gli ultimi quattro giorni di agonia. Quando sono arrivata in clinica era buttato nudo su una barella coperto solo da un lenzuolo, in una stanza piena di polvere, con i vermi a terra. Una cosa davvero indecente. Mai visto nulla di più indecoroso. Dopo le mie rimostranze, è stato spostato e gli è stato dato il decoro che merita non solo mio padre, ma qualsiasi morto”.

Un calvario lungo quasi 50 giorni 

Ippolito, che si faceva voler bene da tutti, è morto così in 45 giorni. “E' entrato con le sue gambe per un banale pit-stop di routine ed è uscito cadavere. L’hanno lasciato morire per inerzia, non hanno avuto deontologia professionale. Mio padre era una persona di alto profilo morale. Si evince da quello che ha fatto per la gente. Un giorno a Natale andò in moto da Biagio Conte per portare alla sua comunità dei panettoni. Scivolò perché pioveva. Ma lui era contento così. Per lui, che era generosissimo e non lo dico solo io, dare significava vedere gli occhi della gente brillare. A lui bastava questo. Lui la gente l’ha sempre guardata dritta negli occhi, perché sapeva di essere puro. Fu un innovatore per la ristorazione palermitana. Ma prima di tutto è stato il centro della nostra famiglia. Era l’essenza. Era tutto per i suoi figli e anche per i suoi nipoti che lo hanno voluto graficare chiamando ‘Ippolito’ il suo ultimo ristorante, che porterà per sempre il suo nome. Cosa resta adesso? L’incubo di una morte che poteva non avvenire ora, non in questo modo. Ha sofferto come un animale. In questa clinica sono stati inottemperanti sia nelle informazioni non date alla famiglia, sia nella gestione del paziente. Adesso la giustizia farà il suo corso. Ma tutti devono sapere cosa è successo a mio padre affinché nessun’altra famiglia soffra per come stiamo soffrendo noi”.

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