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Cronaca

S'innamora di una prostituta, ma lei lo denuncia per minacce: impiegato condannato e poi scagionato

Dai rapporti a pagamento era nata una storia d'amore tra l'imputato e la ragazza romena, che però lo aveva poi denunciato perché le avrebbe detto: "Ti ammazzo, ti rimando a pezzi nel tuo Paese". La presunta vittima non è stata inserita nella lista dei testimoni del pm ed è stato quindi impossibile sentirla. Dopo una pena di 2 mesi, ora l'assoluzione

Si erano conosciuti lungo "le strade mercenarie del sesso", ma dai rapporti a pagamento era poi nata una storia d'amore, con lui - impiegato palermitano - che avrebbe fatto di tutto per salvare lei - giovane donna arrivata dalla Romania - dal marciapiede, prendendole una casa e cercando di sostenerla anche economicamente. Una storia d'amore che - come ormai sempre più spesso capita - è finita tuttavia in un'aula di tribunale ed è costata una condanna per minacce aggravate all'uomo, che ora però si è trasformata in appello in un'assoluzione piena.

La relazione tra i due risale al 2014-2015. Ad un certo punto, la donna era però andata in questura ed aveva denunciato il compagno, sostenendo che le avesse detto: "Io ti ammazzo, tu non sai chi sono io, ti ammazzo e ti mando in Romania a pezzi in una bara".

Minacce di morte che avevano fatto finire l'impiegato sotto processo. Assistito dall'avvocato Giuseppe Avarello, l'imputato ha sempre negato di aver fatto del male alla donna, che anzi, come ha dichiarato, avrebbe aiutato in ogni modo. Una versione che non è stato possibile confutare durante il dibattimento, perché la presunta vittima non era stata inserita - per errore - nella lista dei testimoni della Procura. Nonostante tutto, però, il giudice monocratico aveva deciso in primo grado di condannare l'uomo a due mesi, senza la sospensione condizionale della pena.

Secondo il giudice, infatti, l'imputato avrebbe certamente minacciato la donna, provocando in lei un timore tale che "nonostante il lavoro che svolgeva, si trattava di una meretrice, si era recata in questura per fare la denuncia", così aveva scritto nelle motivazioni della sentenza.

L'avvocato ha impugnato il verdetto rimarcando sia che, senza sentire la presunta vittima, sarebbe mancata ogni prova della minaccia, ma anche che prostituirsi nel nostro ordinamento è lecito e che dunque la donna non avrebbe rischiato nulla rivolgendosi alla polizia. Tesi che ora sono state pienamente accolte dalla seconda sezione della Corte d'Appello, presieduta da Antonio Napoli, che ha assolto l'uomo con la formula "perché il fatto non sussiste".

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