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Stato-mafia, via al processo: boss e politici davanti ai giudici

La Corte d'Assise sarà chiamata a giudicare i dieci imputati che secondo l'accusa, vent'anni fa si sedettero intorno allo stesso tavolo per concordare una strategia di distensione. Tra i testimoni Napolitano e Grasso. Primo rinvio al 31 maggio

Si è aperto stamattina nell'aula bunker del carcere Pagliarelli, il processo sulla "trattativa" tra lo Stato e la mafia. La Corte d'Assise sarà chiamata a giudicare i dieci imputati, tra mafiosi, politici ed ufficiali dell'Arma, che secondo l'accusa, vent'anni fa si sedettero intorno allo stesso tavolo per concordare una strategia di distensione che portasse alla fine del periodo stragista che tra il '92 e il '93 aveva insanguinato l'Italia. (GUARDA IL VIDEO).

Sia i pm che i difensori degli imputati hanno chiesto un termine per interloquire sulle nuove richieste di costituzione di parte civile presentate oggi. La corte d'assise ha rinviato il processo al 31 maggio.

Alla sbarra ci saranno i capimafia Totò Riina, Antonino Cinà, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca; il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Massimo Ciancimino, gli ex ufficiali del Ros dei Carabinieri, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, l'ex senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino. Tranne che per l'ex presidente del Senato, accusato di falsa testimonianza, e per Massimo Ciancimino, teste dell'accusa accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia, gli altri imputati sono chiamati a rispondere di violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l'aggravante d'aver favorito Cosa nostra.  

Ha scelto invece il rito abbreviato un altro imputato eccellente: l'ex ministro democristiano Calogero Mannino, che ha optato per il rito abbreviato. Dal processo è stata stralciata invece la posizione di Provenzano, il quale è stato ritenuto incapace di intendere e di seguire coscientemente il processo. La sua posizione pende ancora davanti al gup. A sostenere l'accusa saranno il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene. Tra i 178 testimoni citati dalla Procura, ci sono il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente del Senato Piero Grasso.

Secondo i magistrati, la "trattativa" nacque dalle aspettative deluse dei boss di Cosa nostra sul Maxiprocesso, con la conferma in Cassazione, il 30 gennaio del 1992, degli ergastoli comminati cinque anni prima. Una decisione che spinse la mafia a chiudere, col sangue, i conti con chi riteneva responsabile di quella sconfitta, e contestualmente a cercare nuovi referenti politici. Il primo passo di quel progetto sarebbe stato l'omicidio dell'eurodeputato Dc Salvo Lima il 12 marzo 1992; seguito dalla minaccia di attentati a diversi esponenti politici.

In questo contesto s'inserì l'ex ministro Calogero Mannino, che temendo per la propria vita, avrebbe dato l'input, attraverso il capo del Ros Antonio Subranni, all'avvio della trattativa che portò, dopo l'intercessione del generale del Ros Mario Mori con Vito Ciancimino, al "papello" con cui Totò Riina poneva le condizioni per far cessare le stragi. Tra cui, quella della revoca del carcere duro per i mafiosi. Successivamente la trattativa avrebbe assunto altri "canali", come quello di Marcello Dell'Utri, ritenuto anello di congiunzione tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi, che appena due anni dopo le stragi sarebbe diventato presidente del Consiglio. (Fonte: TMnews)

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