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L'ex presidente del Senato e quell'incontro con Borsellino a 18 giorni dalla morte

Trattativa Stato-mafia, Nicola Mancino ribadisce la propria estraneità. Venerdì invece Massimo Ciancimino renderà dichiarazioni spontanee: tornerà a parlare per la prima volta da quando è stato arrestato

Venerdì, a Palermo, Massimo Ciancimino renderà dichiarazioni spontanee al processo Stato-mafia. Si tratta della prima volta che prende la parola da quando è stato arrestato e condotto in carcere. Il figlio di Don Vito due settimane fa era finito al Pagliarelli, al culmine di un'operazione della Squadra Mobile. Ciancimino dovrà scontare un cumulo di pene residue pari a quattro anni, cinque mesi e otto giorni di reclusione. Le condanne inferte nei confronti del figlio dell’ex sindaco condannato per mafia, divenendo irrevocabili, hanno sancito la colpevolezza di Ciancimino junior, già finito in carcere per riciclaggio e detenzione di esplosivi.

I fatti per cui è intervenuta la sentenza definitiva sono avvenuti rispettivamente dal 2000 al 2005 nel primo caso, e nel 2011 nel secondo. 
In un primo procedimento penale, Ciancimino è stato condannato per i reati di riciclaggio, nonché di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, in relazione a fatti commessi tra Palermo, Ginevra e la Romania. Le contestazioni sono state mosse in concorso con la madre Epifania Scardino ed alcuni professionisti, ad alcuni dei quali è stata attribuita anche la fittizia intestazione di beni. Gli addebiti sono da ricondurre all’occultamento di un ingente patrimonio, in parte già oggetto di sequestro, costituito da denaro, beni mobili e immobili nonché partecipazioni societarie.

Intanto, in merito alla trattativa tra Stato e mafia, l'ex presidente del Senato Nicola Mancino ha ribadito la propria estraneità.  Lo ha fatto nell'aula bunker di Palermo dov'è imputato per falsa testimonianza nell'ambito dell'inchiesta sulla "trattativa". Mancino si è definito un "terzo estraneo", formalizzando dinanzi al presidente della Corte d'assise Alfredo Montalto la sua intenzione di non sottoporsi all'interrogatorio da parte dei pm.

Mancino è tornato sull'incontro avuto al ministro degli Interni con Paolo Borsellino l'1 luglio 1992, diciotto giorni prima che il giudice venisse ucciso nella strage di via D'Amelio. "Si sono fatte maliziose e subdole insinuazioni", ha detto Mancino il quale ha ribadito la sua "durezza e fermezza nei confronti di un nemico che aveva dichiarato guerra allo Stato. Dissi che la cattura di Riina non mi bastava - ha spiegato l'ex seconda carica dello Stato -, bisognava catturare tutta la Cupola".

Insomma, per Mancino, contro di lui ci sarebbero state "calunnie e millanterie. Denunciate - ha proseguito -, ma che non hanno dato seguito alcun accertamento, nè verifiche". "Un teorema che doveva rimanere in piedi", dunque, contro di lui che ha sempre espresso la propria estraneità ai fatti.

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