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Condannato ingiustamente per la strage di via D'Amelio, maxirisarcimento per un carrozziere

La sentenza per gli eredi di Giuseppe Orofino, nel frattempo deceduto, risale a luglio ma è diventata definitiva in questi giorni. Lo Stato dovrà versare quasi un milione e mezzo. L'imputato fu accusato dal falso pentito Vincenzo Scarantino e in primo grado gli venne inflitto l'ergastolo. L'avvocato: "Dovrebbero pagare i magistrati"

La sentenza della Corte d'Appello di Catania è stata emessa a luglio, ma da qualche giorno è passata in giudicato ed è dunque definitiva: lo Stato - precisamente il ministero dell'Economia - dovrà risarcire Giuseppe Orofino, che nel frattempo è morto, e quindi i suoi eredi con quasi un milione e mezzo di euro. Si tratta del carrozziere accusato ingiustamente dal falso pentito Vincenzo Scarantino di aver partecipato alla strage di via D'Amelio e che era stato condannato all'ergastolo nel 1996.

E' il risarcimento più elevato riconosciuto dai giudici finora, anche perché Orofino a differenza degli altri condannati ingiustamente, era incensurato quando si ritrovò sotto inchiesta e poi sotto processo per uno dei fatti di sangue più gravi della storia recente. I suoi eredi - a trent'anni dalla strage - riceveranno per l'esattezza un milione 404.925,25 euro.

Non è tenero con i magistrati l'avvocato di Orofino, Giuseppe Scozzola che - come riporta l'Adnkronos - commenta: "E' assurdo che lo Stato non si rivalga nei confronti dei magistrati che hanno, seppure involontariamente, causato questo grande danno al mio assistito. Orofino è stato accusato ingiustamente da Scarantino di avere partecipato alla strage di via D'Amelio, quando il collaboratore Salvatore Cancemi aveva detto più volte che non lo conosceva e che Scarantino non era un uomo d'onore". E aggiunge: "Si sapeva benissimo che la riunione a Villa Calascibetta (di cui aveva parlato Scarantino, ndr) è stata smentita dai collaboratori Cancemi, ma anche da Santino Di Matteo e da Gioacchino La Barbera. Ricordo che il processo Borsellino ter cestinò completamente le dichiarazioni di Scarantino ma si continuava comunque a sostenere le tesi di Scarantino per poi arrivare alla sentenza di appello del Borsellino bis che è una sentenza illeggibile. Non si capisce perché debba essere lo Stato a pagare e non i magistrati".

I giudici: "La trattativa non influì sulla strage di via D'Amelio"

Scozzola ricorda proprio le dichiarazioni di Cancemi che durante un confronto con il falso pentito gli disse: "Non parli come un mafioso", aggiungendo "chi ti ha suggerito di dire queste cose?". "Il compito del magistrato - sottolinea Scozzola - sarebbe stato quello di dire: 'Vediamo quello che sta succedendo' e non nascondersi dietro il fatto che il collaboratore non aveva dichiarato alcune cose in tempo, è una assurdità". Per l'avvocato poi i magistrati di "Palermo non sono meno responsabili di quelli di Caltanissetta".

La sentenza con cui Orofino venne condannato all'ergastolo fu emessa dalla Corte d'Assise di Caltanissetta, presieduta da Renato Di Natale, il 26 gennaio 1996. La stessa pena fu inflitta anche a Salvatore Profeta e Pietro Scotto, mentre Scarantino fu condannato a 18 anni: ottenne una riduzione della pena proprio in virtù della sua collaborazione con la giustizia e venne quindi ritenuto per la prima volta attendibile. Il 13 febbraio 1999 arrivò la sentenza del “Borsellino bis”: la Corte d'Assise presieduta da Pietro Falcone condannò all'ergastolo Totò Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Salvatore Biondino e Gaetano Scotto, riducendo a 9 anni la condanna per Orofino, che rispondeva di favoreggiamento. Pietro Scotto venne assolto. Nel frattempo, però, Scarantino ritrattò tutto.

Nel 2002, il collegio di appello, presieduto da Francesco Caruso, decise - come ripercorre ancora l'Adnkronos - che a meritare l'ergastolo non dovessero essere solo 7 imputati ma 13. Si aggiunsero così i nomi di Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Gaetano Murana e Giuseppe Urso. Nelle motivazioni del "Borsellino quater", i giudici scrivono, tra l'altro, che "tra le altre "anomalie" c'era anche "la singolare cronologia del sopralluogo eseguito dalla polizia scientifica di Palermo ('su richiesta della locale squadra mobile'), nella carrozzeria di Giuseppe Orofino alle 11 del lunedì 20 luglio 1992" poiché "quest'ultimo aveva denunciato, appena un paio d'ore prima, il furto delle targhe (ed altro) da una Fiat 126 di una sua cliente, all'interno della sua autofficina".

Nel momento però in cui "la polizia scientifica eseguiva detti rilievi nell’officina di via Messina Marine - scrivevano i giudici - non erano stati ancora rinvenuti, in via D'Amelio, né la targa oggetto della denuncia di Orofino" né "il blocco motore della Fiat 126 rubata a Pietrina Valenti". Inoltre "era soltanto nel successivo pomeriggio del 20 luglio 1992" che "detto blocco motore veniva attribuito ad una Fiat 126. Dette circostanze - affermavano i giudici - non sono affatto di poco momento, ove si rifletta sulla circostanza che, invece, già nel pomeriggio del 19 luglio 1992, fonti della polizia di Stato ipotizzavano l'utilizzo, come autobomba, proprio di una Fiat di piccole dimensioni e, in particolare, 'una 600, una Panda, una 126'".

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E proseguivano: "Detta ipotesi investigativa, rivelatasi fondata e coerente con i successivi rinvenimenti sullo scenario della strage, dei reperti dell'autobomba, non è spiegabile soltanto con l'efficienza e la solerzia profusa dagli inquirenti nel cercare di far immediatamente luce, con il massimo sforzo investigativo praticabile, su di un fatto gravissimo, che cagionava anche la scomparsa prematura dei cinque appartenenti alla polizia di Stato, bensì necessariamente ipotizzando un apporto di tipo confidenziale da parte di taluno che (evidentemente) era ben informato sulle concrete modalità esecutive dell'attentato. Diversamente - era la conclusione - non si spiegherebbe, sul piano logico, il motivo per cui la squadra mobile di Palermo, diretta da Arnaldo La Barbera (già collaboratore del Sisde, con il nome in codice “Rutilius”, sin dal 1986), sollecitasse un intervento della polizia scientifica, per un immediato sopralluogo nell'officina di un carrozziere qualunque di Palermo, che aveva soltanto denunciato (appena un paio d'ore prima) il furto di alcune targhe da un'automobile di una sua cliente".

Nel 2017 arrivò la sentenza del processo di revisione: dopo le dichiarazioni del pentito Gaspare Spatuzza e le ammissioni del falso collaboratore di giustizia Scarantino che avevano già portato alla scarcerazione di 7 imputati che stavano scontando l'ergastolo, la Corte d'Assise d'appello di Caltanissetta aveva assolto quei 7 imputati dall'accusa di strage. Altre tre persone furono assolte da reati minori e assolto lo stesso Scarantino.

Il giudizio di revisione riguardava Gaetano Murana, Giuseppe Orofino, Cosimo Vernengo, Natale Gambino, Salvatore Profeta, Giuseppe La Mattina, Gaetano Scotto, Vincenzo Scarantino e Salvatore Candura. Quest'ultimo era stato condannato solo per il furto della macchina che venne imbottita di tritolo e non per il reato di strage, mentre Orofino era stato ritenuto responsabile di appropriazione indebita, favoreggiamento e simulazione di reato. Tomassello aveva avuto una condanna per associazione mafiosa e non per strage.

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