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Mamma e gemellini uccisi a Pizzolungo, via al nuovo processo: boss Galatolo accusato dalla figlia ribelle

Si apre un altro procedimento penale per la strage mafiosa. I fatti risalgono alla mattina del 2 aprile del 1985. "Non appena il telegiornale diede la notizia - ha messo a verbale Giovanna Galatolo - mia madre iniziò a urlare: 'I bambini non si toccano'. Mio padre le saltò addosso, cominciò a picchiarla, voleva dare fuoco alla casa"

Una strage decisa in un summit di mafia a Castelvetrano, alla presenza dei capi assoluti di Cosa nostra trapanese, Ciccio e Matteo Messina Denaro, padre e figlio, come ha messo a verbale Santino Di Matteo, il pentito al quale la mafia per vendetta uccise il figlio, Giuseppe. Si apre questa mattina a Caltanissetta il "Pizzolungo quater", un nuovo procedimento penale per la strage mafiosa di Pizzolungo del 2 aprile 1985: l’attentato contro l’allora pm trapanese Carlo Palermo, nel quale morirono Barbara Rizzo Asta, di 33 anni, e i suoi gemellini di 6 anni, Salvatore e Giuseppe Asta. Erano sull’auto che al momento della deflagrazione di un’autobomba fece da scudo a quella del magistrato. La Procura di Caltanissetta ha chiesto al gip il rinvio a giudizio del boss mafioso palermitano del rione Acquasanta, Vincenzo Galatolo.

Ad accusare Galatolo sono la figlia “ribelle” Giovanna Galatolo e il pentito Francesco Onorato.  "Non appena il telegiornale diede la notizia - ha messo a verbale Giovanna Galatolo - mia madre iniziò a urlare: 'I bambini non si toccano'. Mio padre le saltò addosso, cominciò a picchiarla, voleva dare fuoco alla casa". "Avevo vent’anni - ha raccontato Giovanna - a casa sentivo mio padre che diceva: 'Quel giudice è un cornuto'. Poi, si verificò l’attentato. E mi resi conto, anche mia madre capì. Non si dava pace".

I fatti risalgono alla mattina del 2 aprile del 1985. Il tritolo di Cosa nostra spazzò via per sempre tre vite: Barbara Rizzo, 30 anni, e dei suoi figli Salvatore e Giuseppe Asta, gemelli di 6 anni. Per loro era il percorso di sempre, sulla Volkswagen Scirocco, lungo la strada che costeggia il lungomare e che da Valderice conduce a Trapani. La mafia voleva uccidere il sostituto procuratore Carlo Palermo. Un magistrato scomodo, uno di quelli che aveva deciso di 'mettere il naso' nel lucroso affare della droga. I boss lo avevano avvertito subito.

Fino a questo momento il movente è stato ricondotto alla strategia mafiosa di quegli anni, di colpire gli investigatori ed i magistrati che operavano sul fronte avanzato della lotta a Cosa nostra. Ma restano ombre sul ruolo di poteri occulti, massoneria e servizi deviati dello Stato. Il pm Carlo Palermo a Trapani da appena 40 giorni aveva già avviato indagini sulle connessioni tra mafia e colletti bianchi, Cosa Nostra e imprenditori e stava indagando sui rapporti tra mafia, impresa e massoneria.

L'autobomba fu sistemata sul ciglio delle strada, la statale che attraversa Pizzolungo, nel Trapanese. Carlo Palermo era in viaggio da Bonagia al palazzo di giustizia di Trapani, a bordo di una 132 blindata. Ma tra quella vettura e l'auto carica di tritolo ce n'è una con due bimbi a bordo. L'autobomba viene fatta esplodere, ma l'utilitaria fa da scudo alla blindata del magistrato, che resta solo ferito. Barbara, Salvatore e Giuseppe, invece, vengono catapultati a chilometri di distanza e la loro auto disintegrata. Una famiglia distrutta, annientata. Per quella strage, grazie anche alle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia sono stati condannati boss mafiosi del calibro di Salvatore Riina, Vincenzo Virga, Antonino Madonna e Baldassarre Di Maggio.

Nel fascicolo del nuovo processo ci sono le dichiarazioni di Onorato che collocano Pizzolungo dentro una possibile "trattativa". Il tritolo usato a Pizzolungo è lo stesso usato in altre stragi: dicembre 1984 attentato treno rapido 904 (per il quale è stato condannato il cassiere della mafia siciliana Pippo Calò), il tentativo di attentato all'Addaura contro Giovanni Falcone nel 1989, lo si è trovato in via D'Amelio il 19 luglio 1992, dove furono uccisi Borsellino e gli agenti della sua scorta. E adesso per questa strage inizia il quarto processo. Il primo contro gli esecutori, tutti appartenenti al clan mafioso di Alcamo, poi assolti in via definitiva dalla Cassazione, dopo una prima condanna in primo grado. Altri due processi hanno visto condannati in via definitiva i capi mafia Totò Riina e Vincenzo Virga e in un altro ancora i boss palermitani Nino Madonia e Balduccio di Maggio. 

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