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I boss riciclavano soldi sporchi investendo nel mattone: 4 condanne diventano definitive

La Cassazione ha confermato il verdetto d'appello per alcuni appartenenti alla famiglia Graziano dell'Acquasanta. Per due prestanome, invece, le pene sono state cancellate dalla prescrizione. Erano tutti coinvolti nel blitz "Cicero" del 2016, che aveva portato anche all'arresto del noto civilista Marcello Marcatajo, deceduto nel frattempo

I boss dell'Acquasanta riciclavano i loro capitali sporchi con investimenti e operazioni immobiliari, servendosi anche di noti professionisti. Questo venne fuori nel gennaio 2016 dall'inchiesta "Cicero" della guardia di finanza e adesso c'è una ricostruzione definitiva dei fatti: le condanne per alcuni membri della famiglia mafiosa dei Graziano sono state infatti confermate dalla prima sezione della Cassazione, anche se ci sono stati lievi sconti di pena perché alcuni capi d'imputazione sono stati dichiarati prescritti. E proprio la prescrizione ha invece spazzato via le condanne di due prestanome dei Graziano, operai edili diventati nel tempo manager di aziende.

Nell'inchiesta era coinvolto anche il noto avvocato civilista Marcello Marcatajo, deceduto durante il processo, e furono importanti all'epoca le prime dichiarazioni del pentito Vito Galatolo: parlò del giro di compravendite immobiliari e disse anche che dalla vendita di una trentina di box sarebbe stato ricavato il denaro necessario per acquistare il tritolo col quale Cosa nostra avrebbe voluto eliminare il pm Nino Di Matteo (oggi al Csm). Una storia quest'ultima - Galatolo disse che era il primo motivo che lo aveva portato a decidere di collaborare con la giustizia - che in realtà non ha mai trovato riscontri. Si fecero infatti ricerche in città e in provincia per trovare il "bidone" con l'esplosivo, anche con strumenti tecnologici sofisticatissimi, ma senza alcun esito.

Ville a Mondello e box per il tritolo: così i boss investono nel mattone

Nello specifico, la Suprema Corte ha deciso di confermare le condanne di Vincenzo Graziano e della moglie Maria Virginia Inserillo, rispettivamente 3 anni e 9 mesi e un anno e 2 mesi, e di dichiarare prescritti alcuni reati contestati a Francesco ed Angelo Graziano, riducendo le pene per il primo di 3 mesi (dovrà scontare 10 anni e 8 mesi) e per l'altro di 6 mesi (sconterà 4 anni). Per due prestanome, Giuseppe e Ignazio Messeri, il troppo tempo trascorso dai fatti alla conclusione del processo ha portato all'annullamento senza rinvio - e dunque alla cancellazione - delle condanne a 2 anni e 3 mesi ciascuno.

Mentre in primo grado il tribunale, a novembre del 2018, aveva condannato tutti gli otto imputati, in appello, a novembre dell'anno scorso, erano arrivate due assoluzioni (quelle del figlio di Marcatajo, Giorgio, e dell'ingegnere Francesco Cuccio), diventate definitive, e per gli altri era invece caduta l'aggravante di aver favorito Cosa nostra.

Le accuse erano a vario titolo di riciclaggio, reimpiego di capitali illeciti, peculato ed intestazione fittizia. Per i giudici "Vincenzo Graziano, da affiliato a Cosa nostra, era storicamente attivo nel settore dell'edilizia ed era anche vicino, secondo i pentiti, a Francesco Madonia e Vincenzo Galatolo, grazie alla cui protezione operava nel Palermitano". Inoltre, "sin dai primi anni Duemila, un ruolo centrale" lo avrebbe avuto anche l'avvocato Marcello Marcatajo, ormai deceduto, legato a Graziano e a suo figlio Francesco. Il civilista avrebbe fatto da prestanome per consentire ai due di acquisire diversi immobili tra il 2003 e il 2009. In queste operazioni sono state coinvolte diverse imprese di costruzioni, riconducibili ai Graziano.

Nella lunga sentenza della Cassazione - ben 54 pagine - i giudici riportano a titolo di esempio la vicenda della Sicilinvest srl in liquidazione di cui "tra il 2008 e il 2009, l'avvocato Marcatajo e Francesco Graziano rilevavano le quote e attraverso la quale realizzavano un'operazione immobiliare consistente nell'acquisizione di un vasto vano cantinato in via Marcellino Corradini 40, dal quale venivano ricavate numerose autorimesse, vendute singolarmente. L'importanza dell'operazione - rimarca la Suprema Corte - derivava dal fatto che l'unità immobiliare veniva acquistata dalla Nord Costruzioni srl, gestita da un parente di Francesco Graziano, a conferma della dimensione eminentemente famigliare delle attività di permutazione economiche svolte dalle imprese controllate dalla famiglia Graziano".

Fondamentali per i giudici diventano le dichiarazioni dell'ex rampollo del clan dell'Acquasanta, Vito Galatolo. "Per decenni - si legge ancora nella sentenza - la famiglia Galatolo aveva investito le ingenti risorse economiche acquisite con la gestione delle attività delittuose di Cosa nostra nel mercato edilizio palermitano, sia operando con aziende controllate dai suoi esponenti sia utilizzando le imprese della famiglia Graziano, alla quale era collegata, attraverso l'imputato Vincenzo Graziano".

Inoltre, grazie alle intercettazioni, sono stati "ricostruiti il modus operandi della famiglia Graziano e individuata la rete, composta da alcuni degli imputati, di cui i suoi esponenti si avvalevano nello svolgimento delle loro attività imprenditoriali". Intercettazioni fondamentali per capire il ruolo di Marcatajo: "Si accertava, infatti, che l'avvocato, sulla base di un modus operandi consolidato negli anni, dopo aver perfezionato, a suo nome, gli acquisti concordati, trasferiva gli immobili a soggetti vicini ai due imputati, consentendo la gestione di tale patrimonio alla famiglia Graziano".

Non solo: "Il professionista si dimostrava pienamente consapevole dell'illeceità delle operazioni compiute nel mercato immobiliare nell'interesse della famiglia Graziano, tanto che il 13 febbraio 2015, riferiva dei timori per le attività d'indagine che riguardavano in quella fase i Graziano, nell'interesse dei quali aveva operato durante il decennio precedente".

La Cassazione ritiene dimostrato che "l'imputato Vincenzo Graziano esercitava i poteri gestionali diretti sui beni aziendali riconducibili al suo nucleo famigliare, facenti parte della società Igm srl, della Afg Costruzioni srl e Sicilinvest srl, che prescindevano dalla titolarità formale del capitale sociale di queste imprese. L'esercizio dei poteri gestionali diretti, a fronte della scelta di intestare formalmente i beni aziendali in questione a prestanome, deve ritenersi idonea a consentire la formulazione di un giudizio di responsabilità nei confronti di Vincenzo Graziano".

E "a fronte dell'esercizio incontroverso di questi poteri da parte di Vincenzo Graziano e dei figli, Francesco e Angelo, corrispondeva l'atteggiamento di sottomissione dei titolari formali delle quote sociali - Giuseppe e Ignazio Messeri, Marcello e Giorgio Marcatajo - e la loro consapevolezza di operare allo scopo di asservire il ricorrente e i suoi famigliari, che agitavano quali soci occulti, nel perseguimento dei loro obiettivi di interferenza illecita con il tessuto produttivo e attraverso Igm srl, Afg Costruzioni srl e Sicilinvest srl".

Per questo i ricorsi presentati dagli imputati sono stati sostanzialmente rigettati, confermando in buona parte la sentenza di appello, fatta eccezione per il calcolo e il riconoscimento della prescrizione di alcuni reati.

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