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"Due rapine per ripianare i debiti di gioco", condanna definitiva per l'ex boss Vito Galatolo

L'imputato, oggi collaboratore di giustizia, dovrà scontare 4 anni e 4 mesi per i colpi che ha commesso mentre era in soggiorno obbligato in Veneto, a giugno del 2014, ai danni di uno stabilimento Tupperware di Treviso e di una sala scommesse di Mestre. La Cassazione non gli ha concesso sconti, neppure l'attenuante speciale per i pentiti

Due rapine, una allo stabilimento Tupperware di Ponzano Veneto, in provincia di Treviso, e l'altra, fallita, alla sala scommesse Aladin Bet 2 di Mestre per ripianare proprio i debiti di gioco che sarebbero stati accumulati dall'ex boss dell'Acquasanta, oggi collaboratore di giustizia, Vito Galatolo. Adesso per lui la condanna a quattro anni e quattro mesi di carcere per i due colpi, che risalgono a giugno del 2014, diventa definitiva.

La seconda sezione della Cassazione, presieduta da Luciano Imperiali, ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso del pentito e non gli ha neppure riconosciuto la speciale attenuante prevista per i collaboratori di giustizia: Galatolo decise di iniziare a parlare con i pm proprio in quello stesso 2014. I giudici hanno integralmente confermato la sentenza emessa con il rito abbreviato dalla Corte d'Appello di Venezia, a settembre del 2018.

Gli assalti, come aveva ricostruito l'accusa, erano avvenuti mentre Galatolo era in soggiorno obbligato a Mestre e sarebbero stati dettati dalla necessità di recuperare i soldi persi con le scommesse. Un giocatore incallito, l'ex boss dell'Acquasanta, che raccontò di essere riuscito addirittura a ripulire oltre mezzo milione di euro proprio con le puntate.

Le rapine, secondo i giudici "erano aggravate dal fatto che Vito Galatolo faceva parte dell'associazione mafiosa Cosa nostra, in specie della famiglia dell'Acquasanta". Poi si era pentito - raccontò tra l'altro del tritolo, mai ritrovato, che sarebbe stato acquistato dai boss per eliminare l'ex sostituto procuratore di Palermo, Nino Di Matteo, oggi consigliere del Csm - ma, come sottolineano i giudici nella sentenza, l'attenuante prevista per i collaboratori di giustizia "può essere riconosicuta solo in relazione al delitto di partecipazione all'associazione mafiosa o ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste o al fine di agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso".

Mentre "i delitti oggetto del presente procedimenti - scrivono ancora i giudici - pur commessi da un soggetto appartenente ad un sodalizio di stampo mafioso, sono stati eseguiti in un contesto e con finalità del tutto diverse, senza avvalersi né del metodo mafioso né allo scopo di rinforzare l'associazione". Da qui la decisione di confermare la sentenza e di non concedere altri sconti a Galatolo.

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