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Giovedì, 28 Marzo 2024
Mafia

Azienda si ribella al pizzo, ma il pm ne chiede il fallimento: i giudici rigettano l'istanza

La storia paradossale della "Elimar srl", ditta edile che dal 2013 ha presentato ben 30 denunce contro i propri estorsori. Ha ottenuto i benefici concessi a chi dice no al racket, come la sospensione dei debiti fiscali, ma la Procura contestava proprio il mancato pagamento di quasi 2 milioni all'Erario

L’azienda edile si è ribellata al pizzo, presentando ben 30 denunce in poco tempo, ha collaborato alle indagini e ha pure fatto condannare i propri estorsori, tanto da ottenere anche i benefici previsti dal Fondo antiracket ed antiusura, compresa la sospensione dei termini esecutivi, fiscali ed amministrativi. Eppure la Procura all'improvviso a dicembre ne ha chiesto il fallimento, paradossalmente sulla scorta di un debito maturato nei confronti dell’Erario di quasi un milione e 900 mila euro e che è appunto sospeso. Una storia kafkiana, quella della “Elimar srl” che tuttavia ha avuto un epilogo positivo: il tribunale ha infatti rigettato l’istanza del pubblico ministero, accogliendo le tesi dell’avvocato Laura Bardi, che difende gli imprenditori, Margherita Landa ed il marito Filippo Misuraca.

La coppia aveva presentato la prima denuncia ad aprile del 2013, quando dopo una serie di danneggiamenti aveva ricevuto un eloquente bigliettino: “Cercati u patri”. A settembre dello stesso anno era stato poi ritrovato in un cantiere di Montelepre un sacco con due teste di capretto e un altro messaggio inequivocabile: “Vi facimu fari sta fini”. Solo l’inizio di una lunga battaglia che poi era sfociata in due inchieste e processi contro la mafia della provincia, “Grande Mandamento” e “Pizzo”.

Gli imprenditori hanno poi avuto la possibilità di accedere al Fondo di solidarietà per le vittime del racket e dell’usura. Lo Stato mette infatti a disposizione non solo dei contributi per sostenere aziende che – proprio perché non sottostanno al pizzo – rischiano di perdere clienti e di non farcela, ma concede anche la possibilità di sospendere una serie di pagamenti, come quelli fiscali. La “Elimar srl” proprio in quest’ambito ha un debito di quasi un milione e 900 mila euro che, però, in virtù della scelta di ribellarsi al racket, è appunto sospeso.

A dicembre scorso, tuttavia, la stessa Procura che ha indagato sulle denunce degli imprenditori, facendo condannare anche i boss che hanno taglieggiato la “Elimar srl”, chiede improvvisamente il fallimento dell’azienda, ancorandolo proprio a quel debito con l’Erario. Il tribunale fallimentare, nonostante l’emergenza sanitaria, ha deciso di trattare il fascicolo con urgenza e ora ha dato ragione alla ditta.

Il collegio presieduto da Giovanni D’Antoni e composto anche da Gabriella Giammona e Giuseppe Rini ha infatti accolto in pieno le tesi della difesa. “Quanto al considerevole ammontare di debiti complessivi della società resistente – scrivono i giudici – ed avuto particolare riguardo all’esposizione dichiarata dal concessionario per la riscossione, pari a 1.885.759,59 euro, la Elimar srl ha documentato di aver ottenuto, con una serie di provvedimenti emessi tra il 23 dicembre 2013 e il 20 gennaio 2020, il beneficio della sospensione dei termini amministrativi ed esecutivi e delle scadenze fiscali" e  "in forza dei suddetti provvedimenti, i debiti gravanti sulla società risultano, in gran parte, attualmente inesigibili, con conseguente impossibilità di fondare la valutazione dello stato di insolvenza sul mancato adempimento degli stessi”.

Ma non è tutto. Si legge sempre nella sentenza del tribunale fallimentare: “La Elimar srl non ha subito protesti né procedure esecutive nell’ultimo quinquennio; ha fatto registrare, nei bilanci relativi alle tre annualità antecedenti al deposito dell’istanza di fallimento e nella situazione patrimoniale aggiornata al 31 dicembre 2019, un valore sempre positivo del patrimonio netto; risulta possedere un attivo pari a 3.187.812,57 euro; si trova in stato di piena attività, come dimostrato dai sette contratti d’appalto sottoscritti tra il 30 settembre 2019 e il 21 gennaio 2020, per complessivi 1.123.017,97 euro”. Quindi “la richiesta in esame va rigettata, stante la carenza del presupposto oggettivo per la dichiarazione di fallimento”.

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