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Giovedì, 18 Aprile 2024
Mafia

"Non chiese il pizzo allo chef Natale Giunta", sì a un nuovo processo per uno dei condannati

La Corte d'Appello di Caltanissetta ha accolto l'istanza di revisione per Giovanni Rao, fruttivendolo di Ballarò che venne accusato dal cuoco e al quale sono stati inflitti 6 anni di carcere in via definitiva. A scagionare l'imputato le dichiarazioni dell'ex pentito Alfredo Geraci: "Stu picciotto è innocente..."

"S'ha aiutare 'stu picciotto, picchì 'stu picciotto è innucenti! E' innucenti e basta! Picchì si ivu a fari 6 anni ca un ha fattu mai parte i nudda famigghia? Sei anni ci ficiru fari e un è giustu!": E' questo che diceva il pentito Alfredo Geraci di Giovanni Rao, condannato in via definitiva proprio a 6 anni per l'estorsione allo chef Natale Giunta. E se la conversazione con un nipote omonimo di Rao è costata l'estormissione dal programma di protezione al collaboratore di giustizia, è servita però alla difesa di Rao per ottenere la revisione del processo.

Il pentito estromesso, ecco come parlava con un detenuto

La Corte d'Appello di Caltanissetta, presieduta da Maria Carmela Giannazzo, ha infatti accolto l'istanza dagli avvocati Giovanni Castronovo e Raffaele Bonsignore che assistono Rao, di riaprire il caso a diversi anni ormai dalla sentenza della Cassazione. Oltre alle conversazioni con l'altro Rao in quel frangente ai domiciliari (e scovate dalla stessa difesa), ci sono le dichiarazioni fatte da Geraci durante un altro processo, dove ha affermato che l'estorsore dello chef sia stato vittima di un errore giudiziario, essendo stato condannato da innocente, perché sarebbe stata un'altra persona a taglieggiare Giunta.

Lo chef testimonia contro i suoi estorsori

Il 25 maggio si terrà un'udienza in cui sarà sentito proprio Geraci per cercare di fare chiarezza sulla vicenda che, per la verità, sin dal processo di primo grado aveva avuto dei contorni tutt'altro che lineari. A marzo del 2013 vennero arrestate altre persone per le richieste di pizzo allo chef che sono state poi condannate, ma Rao venne chiamato in causa solo successivamente. Durante un incidente probatorio, infatti, Giunta riconobbe anche Rao, fruttivendolo di Ballarò, come uno dei suoi taglieggiatori e così scattò l'arresto.

Pochi mesi dopo, la sezione Misure di prevenzione del tribunale, allora presieduta dall'ex giudice Silvana Saguto, dispose il sequestro di beni per 650 mila euro a carico dell'imputato: i giudici ritennero che non fosse possibile che un ambulante potesse possedere, tra l'altro, cinque appartamenti, un negozio, una Smart, una Mercedes e una Bmw. La difesa di Rao, però, dimostrò che quel patrimonio era stato acquisito in maniera più che lecita: il figlio dell'imputato, Vincenzo, aveva infatti avuto nel 2003 un gravissimo incidente, riportando lesioni invalidanti, ed era stato risarcito dall'assicurazione con un milione di euro. Soldi che avevano quindi consentito l'acquisto regolare dei beni, che furono così restituiti a Rao.

Il fruttivendolo si è sempre detto innocente e più di una volta, soprattutto durante il processo di primo grado, in aula vi furono tensioni. La sua condanna, però, basata anche sul riconoscimento compiuto dallo chef Giunta, ha retto in tre gradi di giudizio. Ora, invece, grazie alle dichiarazioni dell'ormai ex pentito, traballa. 
 

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