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Giaccone ucciso 39 anni fa: "Il suo no ai boss emblema di legalità da studiare a scuola"

La riflessione di Pippo Giordano, il poliziotto che catturò il killer del medico legale, assassinato tra i viali del Policlinico l'11 agosto 1982: "Si rifiutò di falsificare una perizia come richiesto da Cosa nostra e il suo gesto è un esempio di altissimo valore morale che i giovani non conoscono abbastanza"

E' a lui che furono affidate le autopsie di decine di vittime di mafia, comprese quelle del presidente della Regione, Piersanti Mattarella, dei magistrati Gaetano Costa e Cesare Terranova, del colonnello e del capitano dei carabinieri Giuseppe Russo ed Emanuele Basile, nonché del giornalista Mario Francese. Finché, poco dopo le 8 dell'11 agosto del 1982, Cosa nostra non ammazzò anche lui. E non fu affatto difficile tendergli un agguato: la vita del professore Paolo Giaccone era tutta lì, all'Istituto di Medicina legale del Policlinico, ed è proprio tra quei viali che lo aspettarono e gli spararono.
 
Oggi ricorre il trentanovesimo anniversario dell'assassinio di Giaccone, che sarà ricordato stamattina, alle 10.30, come di consueto, davanti al cippo che ne onora la memoria nel luogo dell'uccisione. La sua figura, come quella di un altro medico ucciso dai boss, Sebastiano Bosio, non è però come le altre: in Paolo Giaccone c'è ciascuno di noi, la sua scelta di non piegarsi alla mafia per ritoccare una perizia è quel "no" che ognuno di noi può dire ogni giorno mentre svolge il proprio lavoro. Un no al pizzo, per esempio. Era un professore, Paolo Giaccone, un luminare della medicina legale e di ematologia forense, non un magistrato o un appartenente alle forze dell'ordine per i quali il contrasto alla mafia è (o comunque dovrebbe essere) implicito: il suo "no" è dunque una scelta di altissimo valore etico.
 
Oggi ricorre il trentanovesimo anniversario dell'assassinio di Giaccone, che sarà ricordato stamattina, alle 10.30, come di consueto, davanti al cippo che ne onora la memoria nel luogo dell'uccisione. La sua figura, come quella di un altro medico ucciso dai boss, Sebastiano Bosio, non è però come le altre: in Paolo Giaccone c'è ciascuno di noi, la sua scelta di non piegarsi alla mafia per ritoccare una perizia è quel "no" che ognuno di noi può dire ogni giorno mentre svolge il proprio lavoro. Un no al pizzo, per esempio. Era un professore, Paolo Giaccone, un luminare della medicina legale e di ematologia forense, non un magistrato o un appartenente alle forze dell'ordine per i quali il contrasto alla mafia è (o comunque dovrebbe essere) implicito: il suo "no" è dunque una scelta di altissimo valore etico.

Pippo-Giordano"Il diniego del professore Paolo Giaccone rappresenta per intero l'espressione genuina della legalità. Il professore Paolo Giaccone poteva, se avesse voluto, scrivere il falso. E invece non lo fece", sono le parole di Pippo Giordano, ex ispettore della Dia, la cui vita si è intrecciata in più punti con l'omicidio del medico: ne vide il cadavere quella mattina, arrestò, assieme al commissario Beppe Montana (poi ucciso anche lui da Cosa nostra nel 1985), il killer di Giaccone, Salvatore Rotolo, incontrò Pino Marchese - era per tutelare lui che il medico legale avrebbe dovuto falsificare la perizia - sia da rampollo di una famiglia di mafiosi che da pentito. "Giaccone dovrebbe essere un modello di vita, un esempio per le nuove generazioni. Il suo martirio dovrebbe essere oggetto di studio in tutte le scuole di ordine e grado", afferma Giordano. Ed è proprio per lanciare questo appello, per stimolare qualche iniziativa, che Giordano ha deciso di affidare una sua riflessione a PalermoToday.

"L'11 agosto del 1982 venne assassinato il professore Paolo Giaccone, per mia sfortuna i miei occhi videro il suo cadavere: non era né il primo né l'ultimo che vidi per le vie e le piazze di Palermo. L'omicidio di Giaccone avvenne poco prima di quello del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Perché fu brutalmente assassinato a colpi di arma da fuoco il professore Giaccone? Perché, da grande galantuomo, si rifiutò di 'aggiustare' l'esito di una perizia dattiloscopica, legata ad un'impronta ritrovata sull'auto usata per compiere la 'strage di Natale', avvenuta a Bagheria il 25 dicembre del 1981. Dopo la strage fu arrestato Pino Marchese, rampollo di una nota famiglia mafiosa, cognato di Leoluca Bagarella, a sua volta cognato di Totò Riina. Ebbene l'impronta individuata dal professore Giaccone apparteneva proprio a Pino Marchese e l'assoluto diniego da parte di Giaccone di modificare l'esito spinse Cosa nostra ad ucciderlo".

"Il killer condannato all'ergastolo per l'omicidio del professore - prosegue Giordano - si chiama Salvatore Rotolo, detto 'anatreddu'. Per inciso, il commissario Beppe Montana ed io con la nostra sezione, dopo un appostamento durato ore - era una domenica mattina - all'interno di un anonimo furgone, arrestammo l'anatreddu assieme ad un altro mafioso latitante. Quindi conoscevo bene sia Salvatore Rotolo che Pino Marchese. Quando poi andai alla Dia, incontrai nuovamente Pino Marchese che nel frattempo si era pentito".

"Io penso che lo Stato e i palermitani siano in debito con il professore Giaccone: non viene ampiamente riconosciuto l'alto senso del dovere che dimostrò con fermezza. Credo che spesso tutti abusiamo della parola 'legalità', ma il diniego posto in essere da Paolo Giaccone rappresenta per intero l'espressione genuina della legalità. Tanti giovani che non hanno vissuto quella stagione di sangue con centinaia e centinaia di morti ammazzati non possono capire che il gesto del professore Giaccone fu esemplare. Un gesto nobile che è una pietra miliare e un punto di riferimento quando si parla di onestà. Io vorrei dimenticare - conclude Giordano - tutti i crimini che i miei occhi hanno visto, ma è un lusso che non posso permettermi".

La commemorazione del sacrificio di Giaccone non è mai stata una passerella molto frequentata dall'antimafia di facciata. I figli del professore, a cominciare dalla maggiore, Milly, non hanno mai cercato ribalte, tanto che proprio Milly una decina di anni fa finì in una vicenda burocratica assurda per cui, ai fini del pensionamento, non le veniva riconosciuto lo status di vittima di mafia. Un ricordo discreto, forse troppo, quello di Giaccone che non restituisce la grandezza del suo gesto e soprattutto non lo pone a sufficienza - come scrive anche Giordano - come esempio per i più giovani. Anche se la memoria serve proprio a costruire le basi per il futuro.

Il professore Paolo Procaccianti, che di Giaccone fu allievo prediletto e che nella medicina legale a Palermo è stato poi suo erede, oltre alle competenze e alla curiosità, ne ha ricordato spesso anche la grande generosità: era un medico, ma era un uomo alla mano, sempre disposto ad aiutare gli altri. Non a caso, con quello che fu il suo di maestro, Ideale Del Carpio, Giaccone fondò il centro trasfusionale dell'Avis al Policlinco: credeva nella donazione del sangue per salvare vite, senza sapere neppure quali. Scelse di fare il suo dovere, Giaccone, in quei primi mesi del 1982, e pagò il massimo prezzo. Ma sopravvive a quei colpi di pistola ogni volta che ciascuno di noi segue il suo altissimo esempio.  

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