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L'omicidio dell'avvocato Enzo Fragalà, punto definitivo della Cassazione: confermate 3 condanne

Il verdetto è stato emesso a 13 anni dal delitto: il penalista venne preso a bastonate sotto il suo studio e morì il 26 febbraio del 2010 in ospedale. Due assoluzioni e la condanna del pentito Antonino Siragusa (che non fu mai creduto dalla Procura) sono già passate in giudicato

A pochi giorni dal tredicesimo anniversario dell'omicidio dell'avvocato Enzo Fragalà, deceduto il 26 febbraio del 2010 in seguito ad un brutale pestaggio avvenuto a pochi passi dal suo studio, in via Turrisi, poco fa la Cassazione ha deciso di rigettare i ricorsi, confermando così la sentenza d'appello per tre imputati (per gli altri tre il verdetto non era stato impugnato ed è dunque già definitivo) e mettendo un punto al lungo e travagliato caso giudiziario.

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Confermate quindi le condanne per Antonino Abbate, al quale erano stati inflitti 30 anni di carcere, Francesco Arcuri, che ne aveva avuti 24 e Salvatore Ingrassia che era stato condannato a 22 anni, tutti legati al clan di Porta Nuova. Per Paolo Cocco e Francesco Castronovo, difesi dagli avvocati Debora Speciale, Rosanna Vella ed Edi Gioè, assolti sia in primo che in secondo grado, la Procura non aveva presentato ricorso in Cassazione. Stessa cosa per Antonino Siragusa, che si era autoaccusato del delitto, scagionando Cocco e Castronovo, ma che non era stato creduto dagli inquirenti e al quale erano stati poi inflitti 14 anni col riconoscimento da parte dei giudici dell'attenuante speciale prevista proprio per i collaboratori.

Con la pronuncia della Cassazione sono state anche confermate le provvisionali alle parti civili: 370 mila euro in tutto alla famiglia Fragalà, difesa dagli avvocati Enrico Sanseverino ed Enzo Tarantino, 25 mila euro sia al Consiglio dell’ordine degli avvocati che alla Camera penale (rappresentati dagli avvocati Cesare Faiella e Giuseppe Scozzola), 10 mila euro al Consiglio nazionale forense, difeso dall’avvocato Antonio De Michele, 7 mila euro al Comune di Palermo (difeso da Giovanni Airò Farulla) e 5 mila euro alla fondazione Caponnetto, rappresentata da Alfredo Galasso.

Le indagini e il movente mafioso

L'omicidio di uno dei penalisti più noti si rivelò sin dall'inizio un caso particolarmente complesso, anche perché nessuna telecamera era riuscita a riprendere il pestaggio, nonostante il delitto fosse avvenuto a due passi dal palazzo di giustizia, ovvero in una delle zone più controllate e sorvegliate della città. Difficile da decifrare, inizialmente, anche il movente, viste le tanti attività - anche politiche - svolte da Fragalà durante la sua vita. Alla fine - ed è stato accertato in primo ed in secondo grado - si è scoperta la matrice mafiosa: il penalista doveva essere punito perché "cornuto e sbirro" e con la tendenza a far collaborare con la giustizia i suoi clienti, in totale antitesi, dunque, con la rigida regola dell'omertà vigente in Cosa nostra. Il suo pestaggio doveva servire da "lezione" a tutta l'avvocatura palermitana.

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La prima inchiesta archiviata e la pista passionale

La prima inchiesta dei carabinieri sul caso venne archiviata nel 2015 e si basava sulle dichiarazioni della pentita Monica Vitale che, peraltro, aveva parlato di un movente passionale per il delitto. La donna disse di aver appreso i contorni dell'omicidio dal suo amante, Gasapare Parisi, del clan di Borgo Vecchio, che una sera, tornando tardi, le avrebbe detto: "No, perché in piazza Ingastone è venuto Santino, tra cui si lamentava che l'avvocato Fragalà aveva fatto delle avances alla moglie di quello scafazzato di suo cugino". E "venti giorni, assai assai un mese - aveva riferito Vitale - e poi si è saputo dell'avvocato Fragalà", cioè della sua uccisione.

Sotto inchiesta erano finiti, tra gli altri, Arcuri, Ingrassia, Siragusa e Abbate: con le intercettazioni compiute dai carabinieri in un'altra inchiesta era emerso che tutti in concomitanza con l'omicidio avevano staccato i loro cellulari. Inoltre Siragusa avrebbe detto: "Ancora quelli non è che sono tornati con il coso di legno", ovvero il bastone col quale Fragalà era stato pestato selvaggiamente. L'indagine venne poi archiviata perché una perizia fonica non riuscì a dimostrare con assoluta certezza che quella voce fosse proprio quella di Siragusa.

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I nuovi arresti e la versione del pentito Chiarello

Nuovi arresti - che diedero il via al processo che si è concluso oggi in Cassazione - furono compiuti il 15 marzo 2017 con l'indagine dei carabinieri coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca (oggi a capo della Procura di Caltanissetta) e dai sostituti Francesca Mazzocco e Bruno Brucoli, sulla scorta delle dichiarazioni di un altro pentito, Francesco Chiarello. Fu lui che per la prima volta tirò in ballo Cocco e Castronovo, fino a quel momento mai sfiorati dalle indagini, andando a comporre, con diverse versioni, una scena del crimine con addirittura sei persone, mentre i testimoni oculari del pestaggio avevano parlato di un solo uomo con un casco integrale. Per il collaboratore il penalista non avrebbe dovuto essere ucciso ma solo "avvertito" con "due colpi nelle gambe". A suo dire, il pentito aveva appreso i dettagli la sera stessa dell'agguato proprio da Castronovo, che si sarebbe presentato a casa sua con gli abiti sporchi di sangue: Arcuri avrebbe organizzato l'agguato su disposizione del capo del clan di Porta Nuova, Gregorio Di Giovanni (contro il quale la Procura non ha mai proceduto ritenendo di non avere elementi sufficienti), Abbate avrebbe fatto da "palo", Siragusa ed Ingrassia avrebbero dato calci e pugni a Fragalà e poi avrebbero coperto Castronovo e Cocco che lo avrebbero preso a bastonate.

La prima sentenza: i giudici credono al pentito scartato dai pm

La sentenza di primo grado, emessa dalla Corte d'Assise presieduta da Sergio Gulotta, il 23 marzo 2020, aveva però smontato questa ricostruzione dei fatti e anche l'attendibilità di Chiarello, definendo il suo comportamento "inquietante" ed "allarmante", visto che ha dimostrato di "saper perfettamente costruire nei minimi particolari un racconto che, per sua stessa ammissione, era tuttavia falso". I giudici credettero invece in buona parte al racconto fornito da Siragusa - che escludeva la presenza di Cocco e Castronovo, ma anche quella di Arcuri - al quale però la Procura non aveva mai voluto dare credito. Secondo l'imputato reo confesso sarebbe stato lui stesso a recuperare il bastone e ad aver fatto una telefonata allo studio Fragalà per sapere quando l'avvocato sarebbe uscito, e avrebbe commesso il delitto assieme ad Ingrassia e Abbate. I giudici avevano così scagionato Cocco e Castronovo e condannato gli altri quattro, riconoscendo come attendibile il contributo di Siragusa (che aveva per questo avuto una pena più bassa).

Il verdetto d'appello

Il verdetto aveva integralmente retto in appello, il 28 marzo dell'anno scorso, anche se la Procura aveva nuovamente chiesto la condanna di tutti gli imputati, continuando di fatto a credere nella versione di Chiarello. Alla fine, però, non è stato presentato ricorso in Cassazione né per Cocco e Castronovo e neppure per Siragusa, le cui assoluzioni e condanne sono quindi già diventate definitive.

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