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Omicidio Burgio alla Vucciria, si apre il processo e viene subito rinviato: la famiglia non sarà parte civile

Un difetto di notifica fa saltare la prima udienza per l'uccisione del giovane, avvenuta il 31 maggio dell'anno scorso. Imputati i fratelli Domenico e Matteo Romano, oltre al figlio di quest'ultimo, Giovanni Battista. Di recente sono emersi presunti piani di vendetta da parte dei boss contro i responsabili. La Procura contesta l'aggravante mafiosa

Si è aperto ieri davanti alla prima sezione della Corte d'Assise ma è stato subito rinviato il processo per l'omicidio di Emanuele Burgio, il giovane ucciso a colpi di pistola la notte del 31 maggio dell'anno scorso alla Vucciria. Per un difetto di notifica a una delle parti offese, nello specifico la madre della vittima, infatti, tutto è stato rimandato a metà settembre. La famiglia Burgio (il padre Filippo è detenuto perché condannato per aver fiancheggiato il boss di Pagliarelli Gianni Nicchi) allo stato non ha però manifestato l'interesse a costituirsi parte civile contro gli imputati.

Del delitto devono rispondere Matteo e Domenico Romano e il figlio di quest'ultimo, Giovanni Battista, fermati poche ore dopo l'aggressione. Di recente, con l'inchiesta "Vento" che ha smantellato il clan di Porta Nuova, è emerso il presunto desiderio di vendetta dei boss nei confronti dei responsabili. Era Giuseppe Incontrera, ritenuto a capo della cosca e ucciso a sua volta il 30 giugno alla Zisa, a sostenere che occorresse fare qualcosa anche per cercare di lenire il dolore del padre della vittima. Filippo Burgio, intercettato in carcere, manifestava peraltro tutto il suo dolore per la perdita del figlio ("me l'hanno ammazzato come un cane, u picciriddu mio... quanto mi manca, mi hanno distrutto la vita questi figli di p...") e mimava anche il gesto di tagliare la gola a qualcuno.

I piani di vendetta sarebbero stati però ostacolati dal fatto che i tre imputati erano in carcere, ma nel clan si sarebbe valutato di "punire" un altro dei fratelli Romano, Paolo, e - a dire del nuovo collaboratore di giustizia, Filippo Di Marco - un cugino di Emanuele Burgio gli avrebbe chiesto di recuperare una calibro 9 proprio a questo scopo.

I Romano sono anche fratelli del boss Davide Romano, ritrovato incaprettato il 6 aprile 2011 nel bagagliaio di una Fiat Uno abbandonata nella zona di corso Calatafimi. Emanuele Burgio, 25 anni, quando venne ucciso era imputato in un processo per droga. Lo smercio di sostanze stupefacenti, però, secondo il procuratore aggiunto Paolo Guido ed i sostituti Giovanni Antoci e Gaspare Spedale, che hanno coordinato le indagini, non avrebbe nulla a che vedere con l'omicidio, che sarebbe maturato al culmine di una serie di screzi. Agli imputati viene comunque contestata l'aggravante mafiosa, in quanto il delitto - secondo l'accusa - sarebbe stato comunque eseguito con modalità e in un contesto prettamente legati a Cosa nostra.

Ad incastrare gli imputati (difesi dagli avvocati Raffaele Bonsignore, Vincenzo Giambruno e Giovanni Castronovo) sono soprattutto le immagini riprese la sera del delitto: le telecamere avevano inquadrato lo scontro tra i Romano e Burgio davanti alla trattoria "Zia Pina", gestita dalla famiglia della vittima. Domenico Romano, l'unico che aveva deciso di rispondere alle domande del gip durante gli interrogatori, aveva fornito una sua versione: "Se dobbiamo fare una cosa del genere (l'omicidio, ndr), non andiamo lì con 200 mila persone e 300 mila telecamere monitorare a 360 gradi, con i nostri motori e cose...", cercando cioè di escludere l'ipotesi che il delitto potesse essere stato premeditato. Inoltre, l'imputato aveva parlato di Burgio come di uno che "se non mandava cinque persone all'ospedale ogni sera non se ne saliva", spiegando che nonostante lui si fosse "sottomesso" quella sera, la vittima lo avrebbe pesantemente minacciato: "Vi devo scippare la testa e poi ci devo giocare a pallone", avrebbe detto il giovane poi ammazzato. 

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