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Giovedì, 25 Aprile 2024
Mafia

"L'ho incontrato per strada e mi ha chiesto aiuto", così Andrea Bonafede ha coperto Messina Denaro

L'uomo, nipote del reggente di Campobello di Mazara, è finito in carcere per associazione mafiosa e i magistrati non credono alla sua versione. Avrebbe assicurato identità, covo, cure e macchine all'ex superlatitante già a partire dal 2020. Per le ricette si sarebbe rivolto al "dottor Tumbarello"

Ha raccontato, proprio come l'autista Giovanni Luppino, di aver incontrato Matteo Messina Denaro per strada a Campobello di Mazara meno di un anno fa e che il boss gli avrebbe chiesto aiuto per via dei suoi gravi problemi di salute: prima avrebbe voluto i suoi documenti (carta d'identità e tessera sanitaria), poi una casa dove vivere (il covo di vicolo San Vito acquistato con circa 15 mila euro forniti in contanti dal mafioso e poi versati su un conto per emettere un assegno), in seguito delle ricette mediche (per le quali si sarebbe rivolto al "dottor Tamburello o Tumbarello") e infine anche due macchine, una Fiat 500 "Lounge", data in seguito in permuta per l'acquisto dell'ormai famosa Giulietta nera. Ma Andrea Bonafede, geometra di 59 anni, l'uomo che ha prestato la sua identità all'ormai ex latitante più ricercato d'Italia, secondo la Procura e anche secondo il gip Alfredo Montalto - che ha firmato l'ordinanza che lo ha fatto finire in carcere - mente. 

"Ha coperto il boss per almeno due anni"

"L'odierno indagato - scrive infatti il giudice, accogliendo le tesi del procuratore Maurizio De Lucia e dell'aggiunto Paolo Guido - ha consapevolmente fornito a Matteo Messina Denaro, per oltre due anni, ogni strumento necessario per svolgere le proprie funzioni direttive: identità riservata, covo sicuro, mezzi di locomozione da utilizzare per spostarsi in piena autonomia". E per questo la sua condotta rientrerebbe pienamente nel reato di partecipazione all'associazione mafiosa. "Non è infatti di certo minimamente credibile - si legge ancora nel provvedimento - che il latitante notoriamente più pericoloso e più ricercato d'Italia si sia ad un certo momento affidato ad un soggetto occasionalmente incontrato, non affiliato e che non vedeva da moltissimi anni, per coprire la sua identità, soprattutto nel momento in cui aveva necessità di entrare in contatto con strutture pubbliche sanitarie (con conseguente elevato rischio di essere individuato, come in effetti è avvenuto), oltre che per acquistare l'immobile ove per un periodo di almeno sei mesi e fino all'arresto ha dimorato".

"Solo un affiliato a Cosa nostra poteva farlo"

Peraltro, rimarca ancora il gip, Bonafede "ha un'estrazione familiare compatibile con il ruolo di partecipe all'associazione mafiosa dal momento che è nipote (figlio del fratello) del noto Leonardo Bonafede, già reggente proprio della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara, che ha protetto, quanto meno negli ultimi anni, la latitanza di Messina Denaro consentendogli di svolgere appieno il ruolo di capo indiscusso della consorteria di Cosa nostra operante in provincia di Trapani". E "solo un associato che godeva della totale fiducia del latitante poteva infatti essere incaricato di compiti di tale delicatezza, specialmente in considerazione della pressante esigenza da parte di Messina Denaro di sottoporsi a terapie mediche di particolare rilevanza".

Il ruolo chiave dell'uomo che ha prestato l'identità al latitante

Queste condotte non si sono protratte per "un annetto", come aveva affermato l'indagato durante l'interrogatorio avvenuto la sera stessa della cattura del latitante, il 16 gennaio, ma si sarebbero protratte almeno dal 27 luglio 2020, data di acquisto della prima auto o comunque dal 13 novembre 2020, data della prima operazione all'Abele Ajello di Mazara del Vallo.

Incastrato dai tabulati telefonici

Com'è noto ormai, dalle intercettazioni tra i parenti di Messina Denaro gli inquirenti hanno appreso che era affetto da un tumore e, dopo una complessa scrematura, hanno cercato qualcuno che, nella zona della Sicilia Occidentale, potesse essere ricorso alle particolari cure mediche necessarie e che fosse compatibile con il latitante. E così si è arrivati ad Andrea Bonafede, operato appunto il 13 novembre 2020 a Mazara e successivamente il 4 maggio 2021 alla clinica La Maddalena. Dai tabulati telefonici del vero Bonafede si è poi capito che i suoi spostamenti erano incompatibili con questi interventi, perché si sarebbe semplicemente trovato da un'altra parte. Così, lunedì scorso, è scattato il blitz del Ros che ha portato all'arresto sia di Messina Denaro che del suo autista, Giovanni Luppino.

"L'ho incontrato per caso per strada"

Per il giudice, il vero Bonafede ha ceduto la sua carta d'identità al boss perché vi potesse apporre la sua fotografia, dandogli così accesso, almeno dal 13 novembre 2020, al servizio sanitario nazionale, ma ha pure acquistato in nome e per conto del latitante l'appartamento di vicolo San Vito, usando i contanti di Messina Denaro, versati poi sul suo conto corrente per chiedere l'emissione di un assegno circolare al fine di stipulare il rogito notarile. Bonafede, durante il suo interrogatorio, ha in parte ammesso queste circostanze, ma ha pure minimizzato, raccontando che "circa un anno prima" avrebbe appunto incontrato il latitante per strada e di aver ricevuto una prima richiesta di aiuto. Dopo un paio di giorni, Messina Denaro gli avrebbe chiesto i documenti per potersi curare, cosa che avrebbe accettato, fornendogli poi anche la tessera sanitaria. Il tutto, però, afferma Bonafede, gli sarebbe stato poi restituito. Ma per i magistrati è inverosimile, visto che la carta d'identità a nome di Andrea Bonafede è stata trovata addosso al latitante il giorno del suo arresto. 

Le ricette del "dottor Tumbarello"

Successivamente, il boss avrebbe chiesto a Bonafede anche ospitalità e l'acquisto della casa di vicolo San Vito, che sarebbe avvenuto il 15 giugno scorso. Inoltre il geometra ha riferito di aver chiesto ad un medico di base di Campobello, indicato come "dottor Tamburello o Tumbarello", di fare alcune ricette, senza rivelare però l'identità del latitante (ma tra gli indagati c'è anche questo medico, peraltro massone, Alfonso Tumbarello). Infine gli avrebbe fornito almeno due macchine, intestate entrambe all'anziana madre.

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