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Il procuratore Sabella: "Cosa nostra è fragile e oggi denunciare il pizzo è un atto di normalità"

L'intervento del magistrato durante il confronto organizzato da Addiopizzo a 31 anni dall'omicidio di Libero Grassi: "Registriamo come siano i mafiosi ad avere paura di imbattersi in commercianti 'sbirri'". Il prefetto: "Serve una militanza di presenza". Il commissario antiracket: "Solo a Palermo forniti 6 milioni di aiuti a imprenditori taglieggiati in un anno"

"Cosa nostra è fragile e oggi denunciare un'estorsione è diventato un atto di normalità e non più di coraggio, come è giusto che accada in un Paese civile. Oggi si registra non più la paura di chi subisce la richiesta di pizzo, ma quella di Cosa nostra nei confronti di commercianti ed imprenditori che potrebbero appunto denunciare, che sono 'sbirri". A dirlo è il procuratore facente funzioni Marzia Sabella, che durante il convegno organizzato da Addiopizzo e dalla famiglia di Libero Grassi, in occasione del trentunesimo anniversario dell'omicidio dell'imprenditore, ha fornito una radiografia aggiornata del fenomeno del racket e anche dell'organizzazione criminale, mettendo tuttavia in guardia dalle semplificazioni e dal ricorso a strumenti normativi che possono creare più danni che vantaggi. 

L'analisi di Addiopizzo: "Oggi chi paga è connivente"

Durante l'incontro - dal tema "Le estorsioni a Palermo: chi paga e perché?" - organizzato nella sede dell'associazione antiracket, in via Lincoln, hanno testimoniato anche due vittime che hanno trovato il coraggio di denunciare il pizzo. Persone che portano ancora i segni del terrore vissuto durante la stretta dei boss, che non hanno nulla delle star e che, anzi, rifuggono dai palcoscenici. Sono intervenuti, oltre a Daniele Marannano e all'avvocato Salvo Caradonna di Addiopizzo, anche il prefetto Giuseppe Forlani (che ha parlato di una lotta contro il racket da fare con "la militanza di presenza" e con "il sostegno concreto dei cittadini sul territorio, anche attraverso il consumo critico") e il commissario straordinario del governo per il coordinamento delle iniziative antiracket e antiusura, Maria Grazia Nicolò (che ha fornito dei dati sull'istanze presentate in Sicilia e in città).

Il procuratore: "Cosa nostra non è più capace di gesti eclatanti"

Lo spunto per il confronto è l'analisi lanciata da Addiopizzo, secondo cui - in estrema sintesi - "oggi chi paga il pizzo e non denuncia è connivente e non vittima" dei clan. Una chiave di lettura nuova, che prende anche atto dei mutamenti all'interno di Cosa nostra, che non è più certamente quella  sanguinaria degli anni Ottanta e Novanta. "Cosa nostra non è capace di gesti eclatanti e soprattutto - ha rimarcato il procuratore -  di reggere le loro conseguenze. Le pene sono elevate per le estorsioni che, sommandosi, diventano facilmente anche un'accusa di 416 bis, cioè di partecipazione all'associazione mafiosa."

"Non si è più soli, ma mancano tante denunce all'appello"

Cosa nostra "è fragile", ma - ha messo in evidenza Sabella - come per il Covid, se abbassiamo un attimo la guardia, se fermassimo l'attività giudiziaria, nel giro di uno o due anni, potrebbe riprenderebbe forza". Dall'altro lato, "la denuncia del pizzo è diventato un atto di normalità" e "oggi non c'è più la solitudine che dovette affrontare Libero Grassi, anzi, a volte c'è il rischio di avere anche troppa compagnia...", ha detto facendo riferimenti agli eccessi di una certa antimafia. Eppure "se è vero che sono state tante le denunce, ma ancora tante ne mancano all'appello".

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"La richiesta estorsiva si è fatta 'amichevole' e tollerabile"

"Cosa nostra - ha proseguito il procuratore - ha diversificato i suoi settori di investimento, puntando soprattutto sulla droga, ma ha anche rimodulato la sua pretesa estorsiva, imponendo per esempio le slot, e ponendosi in maniera sempre più 'amichevole' per garantirsi il controllo del territorio. Questo ha reso il pizzo quasi tollerabile, con tariffe accessibili e commisurate alla grandezza dell'attività taglieggiata, per esempio. Non dimentichiamo - ha sottolineato Sabella - che durante la pandemia sono stati anche i mafiosi a sostenere alcuni commercianti, portando loro le buste con la spesa".

Paura, convenienza e connivenza

Sabella non condivide pienamente l'idea che chi non denuncia il pizzo oggi non sia comunque una vittima, che sia mosso solo dall'interesse e non più dalla paura: "Come si fa a stabilire se un commerciante ha paura o meno? Quali conseguenze comporta la richiesta estorsiva all'interno della famiglia? Bisogna essere cauti nell'adozione di nuovi strumenti", ha affermato. Inoltre "bisogna distinguere tra connivenza e convenienza. Quest'ultima - ha spiegato il magistrato - è legata ad un fenomeno culturale e consiste nella scelta del male minore: l'imprenditore fa prima a pagare 100 euro due volte all'anno che a denunciare, è più facile e più comodo. La connivenza comporta dei vantaggi e l'ottenimento, attraverso il pagamento del pizzo, di 'servizi' invece". Secondo il procuratore "occorre disinquinare e non punire l'azienda che subisce il racket e le norme attuali consentono allo Stato di inserirsi accanto all'imprenditore, proprio per aiutarlo in questa operazione di bonifica". E ha concluso dicendo "continuiamo a considerarle vittime, disinquiniamo le aziende" anche se "serve senz'altro una narrazione diversa, perché non si tratta di diventare eroi attraverso la denuncia, non sono più questi i tempi".

Il commerciante bengalese: "Dopo la denuncia è finito il buio"

L'avvocato Caradonna, che ha introdotto le due vittime di pizzo che hanno fatto condannare i loro estorsori, ha sottolineato come "la paura è il motore della denuncia, mentre di fronte alla connivenza invece si blocca tutto". E le testimonianze degli imprenditori lo confermano. Un commerciante bengalese, arrivato in Italia nel 1997 e che ha avviato qualche anno dopo un attività, protagonista della rivolta collettiva nella zona di via Maqueda, ha spiegato che "dal 2015, ogni sera c'erano delle rapine e degli scippi, quando queste persone (coloro che li taglieggiavano, ndr) passavano dicevano che noi non dovevano guardarle. C'era un clima di terrore, io avevo paura persino ad accompagnare mio figlio a scuola e tutti abbiamo dovuto adottare dei sistemi di sicurezza per evitare di essere aggrediti e anche che fossero aggrediti i nostri clienti. Poi - ha concluso - abbiamo denunciato e il buio è passato, da quel momento tutti hanno potuto camminare liberamente per via Maqueda. Grazie ad Addiopizzo e alla squadra mobile".

L'imprenditore edile: "Mi hanno distrutto la vita"

L'altra testimonianza è quella di un imprenditore edile della provincia: "Mi occupo anche di opere pubbliche e quando diversi anni fa - ha spiegato - ho avviato un cantiere per l'Anas sono stato avvicinato e mi è stato chiesto se mi fossi messo a posto... Ho cercato di prendere tempo. A dicembre del 2012, però, hanno distrutto la mia casa, con danni per oltre 120 mila euro, e mi hanno distrutto anche la vita. Ho denunciato, ma ancora oggi abbiamo paura, e questo è il segno indelebile che è stato messo nella mia vita". Un racconto toccante, che poco ha a che vedere con certe esibizioni con tanto di video e post sui social a cui si è assistito negli ultimi anni.

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Il prefetto: "Oggi serve anche una militanza di presenza"

Il prefetto Giuseppe Forlani ha spiegato che, pur registrando dei cambiamenti "il metodo estorsivo classico esiste ancora ed è legato al controllo del territorio". Oggi "serve una lotta al racket con una militanza di presenza, attraverso il sostegno concreto sul territorio da parte di cittadini ed associazioni, anche con pratiche come il consumo critico". Insomma è la città che deve lasciare un segno, mobilitarsi, al di là degli aiuti specifici da parte dello Stato. Il prefetto ha anche fatto riferimento ad un panificio con laboratorio confiscato allo Zen che avrebbe dovuto essere assegnato ad un imprenditore per la gestione, "ma all'ultimo momento si è tirato indietro, ecco perché serve una mobilitazione dal basso per aiutare chi vuole operare nella legalità", ha concluso.

Il commissario antiracket: "Dallo Stato oltre 6 milioni di aiuti solo a Palermo"

Il commissario straordinario Nicolò, dopo aver lanciato un appello ai giovani, sottolineando la necessità di sensibilizzare i più giovani alla conoscenza del fenomeno delle estorsioni, ha fornito dei dati sull'aiuto dato dallo Stato alle vittime di racket e usura nell'ultimo anno nell'Isola e a Palermo. "La Sicilia è seconda solo alla Campania - ha detto - abbiamo ricevuto 85 istanze per estorsione, su un totale di 131, stanziando in tutto oltre 16 milioni di aiuti. Solo a Palermo le istanze sono state 47 e sono stati stanziati oltre 6 milioni". Il commissario si è detto aperto a modifiche normative, per aggiornare i sistemi di contrasto al racket: "Abbiamo ricevuto questa richiesta da più parti e per questo è stato istituito un osservatorio che è al lavoro per valutare quali portare avanti".

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