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"U' zio Ciccio è reggente di Palermo, rappresenta la mafia a Roma"

Asse Roma-Catania, smantellato il clan Fragalà (31 persone in manette): tra gli arrestati c'è anche Francesco D'Agati, 83 anni. Intercettato, diceva: "Sono una persona anziana che è stata chiamata per stabilire torto e ragioni, sono il custode di tutti"

Lui ha 83 anni. Ed è palermitano. Al telefono lo descrivevano così: "E' un pezzo grosso... u' zio Ciccio è reggente di Palermo. Dei mafiosi è lui quello, che oggi rappresenta la mafia qua... qua a Roma". Con queste parole, in un'intercettazione tra gli affiliati, contenuta nell'ordinanza di arresto dell'operazione 'Equilibri' che ha smantellato il clan Fragalà, gli intercettati parlano di Francesco D'Agati.

Sono 31 in tutto gli arresti messi a segno oggi nel blitz antimafia tra Roma e Catania. Ci sono tre donne. E appunto D'Agati. "Anni fa - ha sottolineato il procuratore facente funzioni di Roma, Michele Prestipino, nel corso della conferenza stampa seguita agli arresti - era capo mandamento di Villabate, uno dei mandamenti al centro delle storiche indagini di Dda di Palermo". Un'inchiesta durata due anni, partita con Giuseppe Pignatone, e che oggi ha trovato il suo culmine.

La figura dello storico pregiudicato di origini palermitane legato a Cosa nostra, già uomo di fiducia a Roma del boss Pippo Calò, si è rivelata di centrale importanza investigativa. D’Agati, pienamente inserito nelle dinamiche mafiose del territorio romano, dove risiede stabilmente da anni, era capace di mantenere relazioni di elevato livello anche al di fuori degli ambienti criminali, ed è emerso per autorevolezza e prestigio mafioso, intervenendo a tutela e in rappresentanza degli interessi del clan Fragalà nell’ambito delle controversie con altre organizzazioni criminali operanti nella capitale, fornendo così un importante contributo alla conservazione e al rafforzamento del clan.

Il ruolo del palermitano, nato a Villabate, si manifesta in attività di mediazione, indirizzo, consulenza, agevolazione di rapporti e altro, all'interno e all'esterno del mondo criminale. "Tutte condotte che - si legge nell'ordinanza - hanno una radice comune nell'influenza e nel prestigio mafioso derivanti dalla sua riconosciuta appartenenza a Cosa Nostra, grazie anche ai rapporti tessuti nel tempo con esponenti di spicco delle varie organizzazioni mafiose. Ciò emerge, dall'oggettivo sviluppo dei fatti ed è ammesso nel corso di varie conversazioni intercettate, in cui D'Agati alternativamente si qualifica, in base alle circostanza, come rappresentante, giudice, custode o garante della condotta di sodali. Ovvero della realizzazione degli interessi illeciti: 'Sono una persona anziana che è stata chiamata per stabilire torto e ragioni, sono il custode di tutti. Sono arrivato io prima che si commettesse qualche errore per non farlo commettere'".

Il clan Fragalà operava nell’area metropolitana romana e in particolare nei comuni di Ardea, Pomezia e Torvajanica. Il clan aveva determinato un pesante clima di intimidazione ai danni di commercianti e imprenditori locali, costretti a subire estorsioni attraverso attentanti dinamitardi e minacce. Scoperto anche un consistente traffico di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana e hashish, importate dalla Colombia e dalla Spagna grazie ad alleanze con gruppi criminali camorristici e siciliani.

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