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Mafia Resuttana-San Lorenzo

Pizzo, c'è chi dice "no": i commercianti che hanno denunciato i loro estorsori

L'operazione "Talea", che ha portato all'arresto di 25 persone del mandamento di Resuttana-San Lorenzo, ha fatto venire a galla le storie di tre imprenditori che non si sono piegati alla mafia. A uno di loro dissero: “Vatti a cercare un amico perché a Palermo non funziona così”

Tanti si sono lasciati vincere dalla paura, altri hanno scelto la strada del silenzio, qualcuno ha preferito pagare il “pizzo”, a volte andando a cercare direttamente l’amico per “mettersi a posto” prima ancora che lo facesse qualcun altro. Poi ci sono le storie di quei commercianti e quegli imprenditori che, subito dopo le prime avvisaglie, ci hanno dormito su una notte e si sono rivolti ai carabinieri per denunciare tutto. I numeri emersi dall’ordinanza di custodia cautelare dell’operazione “Talea”, che ha portato a 25 arresti del mandamento Resuttana-San Lorenzo, potrebbero apparire impietosi (tre episodi virtuosi a fronte di una ventina tra estorsioni consumate e tentate) ma lasciano intravedere un barlume di speranza, senso civico e indignazione contro quelli che Lo Voi ha definito "parassiti della società".

Era il 10 marzo 2016. L’imprenditore edile Giuseppe Petruso, titolare della ditta Gmp sas di Borgetto, si trovava nel suo cantiere, ai piedi dell’impalcatura montata pochi mesi prima in via Giacomo Leopardi per rifare il prospetto in un palazzo. Era al cellulare quando si avvicina un uomo che indossa un cappellino con visiera di colore chiaro. Si tratta di Antonino Tumminia. Dopo avergli "bussato" sulla spalla solo una frase, un avvertimento: “Vatti a cercare un amico perché a Palermo non funziona così”. L’imprenditore rimane impassibile, non pensando neanche che quella persona si stesse realmente rivolgendo a lui. “Ma chi sei? Quale amico?”. Tumminia, non volendo rischiare ulteriormente, decide di desistere e si allontana a piedi verso via Ariosto. Lì lo aspetta un complice a bordo di un’auto pronta per la fuga. Petruso lo segue per un tratto, afferra il suo cellulare e prova a scattargli una foto da dietro. Più chiare le immagini di alcune telecamere di videosorveglianza della zona e le intercettazioni raccolte grazie alle microspie piazzate in macchina: "Vedi che te lo vedevo dietro io…ti ha inseguito!", diceva Sergio Napolitano a Tumminia. Appena 24 ore dopo Petruso, cui va - scrive il gip - un encomio per il coraggio e il senso civico dimostrato, si reca nella stazione dei carabinieri Palermo Crispi e mette nero su bianco le sue dichiarazioni poi riscontrate con le investigazioni di Procura e carabinieri.

Mafia, colpo al clan di San Lorenzo - le foto

Un mese dopo la “famiglia” decide di prendere di mira un pub di piazza Unità d’Italia riconducibile a Giuseppe Citarda, titolare del pub Plaza, e a un suo socio. Un uomo, nel primo pomeriggio, entra nel locale e si avvicina al tavolo dove Citarda sta pranzando con la moglie. “Mi ha chiesto se fossi io il titolare - ha raccontato ai militari - invitandomi a uscire in quanto mi doveva parlare. Appena fuori ho chiesto chi fosse e con chi stavo avendo il piacere di parlare e la sua risposta è stata: ‘Non importa chi sono..io sono mandato…come mai avevi aperto questo bar senza chiedere nulla o far sapere nulla”. Citarda gli spiega di avere chiesto e ottenuto tutte le licenze necessaria, ma a quel punto l’emissario della “famiglia”, poi identificato in Antonino La Barbera (“sulla carta" legato al mandamento di Porta Nuova), lo saluta, sale in sella al suo Honda Sh di colore nero e si allontana. Quindi Citarda, anche questa volta, ci dorme su e il giorno successivo si rivolge ai carabinierim raccontando tutto e identificando il suo estorsore. A due anni di distanza il pub risulta chiuso.

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Il 16 ottobre 2015, durante un appostamento, i carabinieri vedono due uomini che da via D’Azeglio arrivano in piazza Don Bosco, si fermano qualche secondo davanti all’ingresso di una birreria e poi si intrattengono a parlare con qualcuno del locale. Cinque giorni dopo viene intercettata una conversazione fra due dei soggetti finiti in manette che parlano proprio della birreria “dove erano stati ultimamente”, sostenendo che avrebbero dovuto “andarci più vastasi”. “Si ci fanno buttare a terra quattro tavolini. Prendo a due - diceva Sergio Macaluso a Corrado Spataro - gli dico andatevi a mangiare qualche cosa, prendete e gli buttate tutti i tavoli a terra, soldi non gliene date e ve ne andate. Vediamo se lo capisce”. Dopo un secondo contatto, alla fine di ottobre 2015, la proprietaria si reca dai carabinieri, racconta l’accaduto, punta il dito contro i due uomini che sono andati a farle visita (gli stessi arrestati per la tentata estorsione a La Braciera) e fornisce le immagini delle telecamere piazzate nel suo locale. “Sono venuti dicendomi che mi avevano lasciato lavorare per un anno e adesso mi chiedevano di ‘farmi la strada’. Poi sono rientrata e ho accennato l’accaduto ai miei figli che avevano notato il mio turbamento”.

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Diametralmente opposto il comportamento adottato dal titolare di un negozio di arredi e idraulica in zona San Lorenzo, che ha denunciato solo un furto di materiale (per un valore complessivo di circa 60 mila euro) avvenuto il 20 ottobre 2015. A compierlo sarebbe stato un tale “Zio Carmelo”, appena uscito dal carcere, come commentavano Sergio Macaluso e Domenico Mammi. Vattiato, operativo nella zona dello Zen, fa presente che la merce era stata recuperata e quindi il titolare dell’attività avrebbe dovuto pagare una somma di denaro per riaverla indietro. E sembrerebbe che l’imprenditore, grazie alla mediazione di un suo dipendente che conosceva alcuni dei soggetti legati alla criminalità organizzata, si fosse reso disponibile a pagare 2 mila euro per riavere il materiale a patto che non mancasse nulla. Merce che sarebbe stata restituita di lì a poco, dopo aver preso appuntamento in via Rosario Nicoletti, vicino a un magazzino dove scaricare il tutto e solo dopo aver stampato una bolla che avrebbe messo tutti al sicuro in caso di un controllo da parte delle forze dell'ordine. Ma l’epilogo di quel furto e la sua restituzione furono anche oggetto di discussione tra gli affiliati, in conflitto per la spartizione dei proventi per aver recuperato il carico: “Sessantamila euro…che no...ce li prendiamo noi altri .. senza che ti scocci permetti che vent’anni di carcere che stiamo rischiando noi altri sessantamila euro di roba me la vendo…ma come è andata a finire qua? Io ho il carico e gli altri mangiano! Ma chi, la minchia!”.

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