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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Mafia Zisa

La preghiera e la santina inviate al boss ergastolano: "Sbagliato bloccarle, vanno consegnate"

Il caso della lettera recapitata al killer di Porta Nuova Giovanni Di Giacomo recluso al 41 bis: aveva ricevuto l'immagine di Santa Rita e il carcere di Voghera l'aveva trattenuta ritenendola "pericolosa" e con "messaggi occulti". La Cassazione ha dato torto al ministero della Giustizia

Santa Rita da Cascia, patrona delle cause perse, a cui in tanti si sono appellati anche durante la pandemia. L'immagine della santa con una preghiera era stata inviata al boss ergastolano Giovanni Di Giacomo, recluso al 41 bis nel carcere di Voghera. La lettera, però, era stata bloccata dal Magistrato di sorveglianza, che l'aveva ritenuta "pericolosa", foriera di potenziali "messaggi occulti", anche alla luce dell'uso che le organizzazioni mafiose fanno dei santini durante i rituali di affiliazione. La Cassazione, però, ha dato ragione al killer di Porta Nuova, ritenendo che non vi fosse "alcun indice di pericolo" nel recapito dell'immaginetta.

La vicenda giudiziaria nasce dalla decisione del Magistrato di sorveglianza di Voghera di bloccare la lettera e la santina spedite al detenuto, poi ribaltata dal tribunale di sorveglianza di Roma. Il ministero della Giustizia ha deciso di fare ricorso in Cassazione e la prima sezione, presieduta da Angela Tardio, ha dichiarato inammissibile l'istanza. La santina e la preghiera sono state quindi consegnate regolarmente al boss.

Per il tribunale che aveva dato ragione a Di Giacomo "né l'immagine della santa, né la preghiera, in alcun modo interpolata, erano idonee alla trasmissione di messaggi occulti, di cui si dovesse impedire la diffusione all'interno dell'istituto di pena". Secondo l'amministrazione penitenziaria, invece, sarebbe stato corretto non consegnare la lettera "essendo notorio l'uso, da parte degli affiliati alle associazioni criminali di stampo mafioso, di simbolismi religiosi, e sussistendo dunque il rischio concreto che l'invio dell'immagine della santa fosse solo un pretesto per la diffusione di messaggi non consentiti e/o per l'instaurazione di rituali propri della consorteria".

Per la Cassazione però "la decisione impugnata appare rispettosa della giurisprudenza di questa Corte" e "il giudice ha argomentato in modo puntuale circa l'assenza di indici di pericolo, derivanti dalla concreta diffusione della missiva e del santino ad essa allegato e ciò per il fatto che il testo della preghiera non aveva subito alterazioni, né era accompagnato da commenti di sorta, che ne potessero rendere criptica la decifrazione. Inappuntabile deve ritenersi la conseguente valutazione per cui il versetto religioso non si prestasse, in questo contesto, a ragionevole strumentalizzazione per fini illeciti", scrive la Suprema Corte.

I giudici sottolineano infine che "il proposto ricorso richiama un preteso notorio, inerente la valenza dei simboli religiosi all'interno dei sodalizi mafiosi, che in nessun caso potrebbe giustificare l'aporioristico e indiscriminato trattenimento, avulso cioè da specifici ed evidenziabili elementi di allarme, di qualunque testo o immagine evocativi della sacralità".

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