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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Mafia Tommaso Natale

Assunzioni, summit e pasticcini: così la mafia controllava la città

Dalle pieghe dell'operazione "Apocalisse" sono stati ricostruiti i meccanismi tramite i quali Cosa nostra sottometteva il tessuto economico locale. E se qualcuno si rifiutava di cedere, assumere gli amici o fare da prestanome, partivano le intimidazioni

Imponevano l'assunzione di personaggi a loro vicini, spesso familiari dei carcerati, "consigliavano" ditte da coinvolgere nei grossi appalti e decidevano, se era il caso, di estromettere alcune aziende per farne subentrare altre "amiche" e vicine alla cosca. Il prosieguo delle indagini relative all'operazione "Apocalisse", che pochi giorni fa ha portato all'arresto di 91 persone smantellando la Cupola del mandamento di San Lorenzo e Resuttana, ha messo in luce le modalità, vecchie e nuove, di controllo del territorio di Cosa nostra, capace di fare pressioni nei punti nevralgici dell'economia, annientando chiunque si mettesse in mezzo nei loro piani (le intercettazioni: video).

Concorrenza "sleale"

Uno degli episodi accertati dagli agenti di polizia della sezione criminalità organizzata, in collaborazione con il nucleo investigativo dei carabinieri ed il nucleo speciale di polizia valutaria della finanza, riguardava la ditta Taormina srl, un "colosso" nel commercio all'ingrosso di carni macellate. S.I. (poi assolto in primo e secondo grado), Clemente Leonardo e Mimmo Taormina (che non è imparentato con il soggetto danneggiato) avevano "messo in atto una lenta e graduale distruzione economica - spiega la polizia - per fare spazio all'impresa concorrente Ingross carni srl". S.I. confidava nella validità di Mimmo Taormina che, anche grazie alla sua vicinanza alla famiglia mafiosa, era capace di far decollare l'organizzazione. E per farlo ricorrevano a qualunque mezzo: estromettendo dai locali i titolari delle aziende concorrenti o recuperando i crediti con la violenza. E se qualcuno si rifiutava di costituire una società facendo da prestanome per altri scattavano le ritorsioni: rapine in casa, ostruzionismo dei clienti nel pagare i debiti, richieste di pizzo, furti in azienda, truffe ma anche lasciando bottiglie di benzina davanti agli esercizi commerciali.

Assunzioni imposte

"…l'altra volta gliel'ho detto, quanti sono 40…40? A noi". Queste le parole intercettate durante una conversazione tra Girolamo Biondino, reggente del mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo, e Silvio Guerrera. A più riprese la Cosca aveva cercato di assicurarsi l'impiego di persone vicine all'organizzazione, spesso familiari dei carcerati. E' il caso dello Spaccio Alimentare, dove si recarono nell'ottobre 2012 Guerrera ed il suo autista-factotum Roberto Sardisco. Ma qualcosa non era andato esattamente secondo i piani, tanto che i due, al termine della "visita", commentavano: "E' un cornuto questo, ma si deve calare".

In un'altra circostanza era stato lo stesso Biondino a fare visita in un altro punto vendita dello Spaccio Alimentare con gli stessi propositi. Dopo l'incontro con un uomo dal camice bianco, registrata vicino ad uno scivolo per lo scarico merci, i due commentavano: "…Quattro posti di lavoro, fai lavorare, pezzo di crasso! (…) Minchia non lo ha saputo mantenere (…) Non ha voluto (…) Si deve spaventare, minchia quando ha visto me la prima volta è diventato giallo". E quando qualcuno fra i segnalati non veniva assunto e andava a lamentarsi con i boss, Biondino e Guerrera mettevano in conto nuove "visite": "Sabato mi faccio una camminata con la scusa che mi compro una cosa da lui - ha detto Biondino -. Cornuti lui i posti mi deve dare! L'altra volta gliel'ho detto, quanti sono 40…40? A noi!". E così facendo Cosa nostra si assicurava anche che i posti di lavori per amici e familiari fosse di gradimento: "Non ti preoccupare, qua comandiamo noi! E tu fai quello che vuoi".

Summit e pasticcini

Sotto la lente degli investigatori sono finiti anche gli incontri tra i boss ed i relativi preparativi, grazie ai quali volevano riorganizzare il mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo. Centrale il ruolo di Biondino, che però aveva imparato ad adottare un profilo basso: non utilizzava telefoni o cellulari e per gli spostamenti si muoveva con l'autobus o facendosi dare passaggi occasionali da familiari e "scagnozzi". E così torniamo indietro, al dicembre 2013. Vito Galatolo, della "dinastia" dell'Acquasanta, si trovava a Palermo per un'udienza in tribunale. Anche per questi incontri, le modalità di comunicazione erano quantomeno inusuali. Guerrera, che si occupava dell'organizzazione, per fare sapere del summit inviava un vassoio di pasticcini. Tanto che qualcuno gli avrebbe risposto: "Basta con tutti questi dolci, l'abbiamo capito", ha raccontato Antonino De Santis (nella foto a destra), dirigente di polizia della sezione criminalità organizzata.

Gli investigatori, certi che i boss avrebbero approfittato dell'occasione per incontrarsi, hanno seguito ogni spostamento accertando la pianificazione di un incontro tra Biondino e Galatolo. Ad organizzarlo furono Antonio Di Maggio, Tommaso Genovee e Francesco Ferrante. Dopo numerosi giri e tentativi avevano stabilito il luogo dell'incontro: il Bar Gardenia. Ma Biondino, contrariato per l'assenza di Tommaso Contino e preoccupato dalle modalità organizzative, aveva deciso di fare saltare l'incontro: voleva che fossero presenti i rappresentanti delle famiglie di Partanna e Tommaso Natale, oltre allo stesso Galatolo. Ma l'incontro avvenne solo poco tempo dopo, così come confermato da Guerrera in una conversazione intercettato con Girolamo Taormina.

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