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"Ha estorto denaro per conto di Miccoli", condanna definitiva per il figlio del boss Lauricella

La Cassazione ha confermato la sentenza con cui sono stati inflitti 7 anni a Mauro Lauricella, figlio dello "scintilluni" della Kalsa: va in carcere. L'ex capitano del Palermo, che l'avrebbe incaricato di recuperare 12 mila euro, ha avuto invece 3 anni e mezzo, ma è pendente il ricorso davanti alla Suprema Corte

Quella compiuta da Mauro Lauricella, figlio (fino a ieri) incensurato del boss della Kalsa Antonino "u scintilluni", ai danni di Andrea Graffagnini, ex titolare della discoteca "Paparazzi" di Isola delle Femmine, fu un'estorsione aggravata dal metodo mafioso. Lo ha stabilito la Cassazione, che ha rigettato il ricorso dell'imputato e reso definitiva la sentenza emessa in appello nel 2019: Lauricella dovrà andare in carcere e scontare 7 anni. Si è costituito nel penitenziario di Voghera. I suoi avvocati, Giovanni Castronovo ed Angelo Barone, "pur rispettando la sentenza", ritengono si tratti di un "errore giudiziario" e si dicono pronti a ricorrere anche alla Corte di giustizia europea.

Un'estorsione, quella che ha determinato la condanna di Lauricella, che risale ormai a più di 10 anni fa e che ebbe un'eco mediatica dirompente perché il mandante, secondo l'accusa, sarebbe stato l'ex capitano del Palermo, Fabrizio Miccoli. Il calciatore pugliese è stato processato con l'abbreviato e condannato in primo e secondo grado a 3 anni e mezzo (è pendente il ricorso davanti alla Suprema Corte). E l'eco fu ancora più pesante perché in alcune intercettazioni - senza alcun rilievo penale - Miccoli e Lauricella parlavano del giudice Giovanni Falcone come di "un fango". Cosa di cui più volte il calciatore si scusò poi pubblicamente.

Una vicenda ingarbugliata quella al centro dei due processi (paradossalmente quello col dibattimento è finito prima di quello con l'abbreviato, peraltro). Tra 2010 e 2011, l'ex fisioterapista dei rosanero Giorgio Gasparini avrebbe chiesto aiuto a Miccoli per vedere se conosceva "qualcuno nel mondo delle discoteche" per recuperare un credito di 12 mila euro da Graffagnini, suo socio nella gestione del locale di Ficarazzi. Il calciatore si sarebbe quindi rivolto a Lauricella, soprannominato "scintilla", suo amico. I toni sarebbero degenerati in una "cappa di mafiosità" (per usare le parole del gup Walter Turturici che condannò Miccoli in primo grado) e, secondo l'accusa, sarebbero state usate violenza e minacce per recuperare quei soldi. Lauricella venne arrestato nell'aprile del 2015.

L'ex capitano del Palermo ha sempre sostenuto di non sapere chi fossero i parenti di Lauricella, un giovane che aveva conosciuto durante la sua permanenza in città e col quale usciva e si divertiva e "a cui voglio bene". Per Miccoli, tra l'altro, la Procura chiese per ben due volte l'archiviazione, ma l'istanza fu sempre respinta e l'allora gip Fernando Sestito infine dispose per lui l'imputazione coatta.

Nel frattempo Lauricella era stato rinviato a giudizio e in primo grado, il tribunale presieduto da Bruno Fasciana, smontò in buona parte la ricostruzione del pm Maurizio Bonaccorso (oggi a Caltanissetta): non sarebbe stata un'estorsione, secondo il collegio, quella commessa dall'imputato, ma una violenza privata aggravata dal metodo mafioso. La condanna fu lievissima: un anno con pena sospesa. In primo luogo perché, per i giudici, quei soldi Graffagnini avrebbe comunque dovuto darli a Gasparini, sarebbero stati dovuti, e poi perché sarebbe mancato "l'elemento oggettivo dell'ingiustizia del profitto", tipico dell'estorsione: Lauricella "agì per il soddisfacimento non di un proprio diritto, ma della pretesa creditoria di Gasparini, il quale non pose in essere nei confronti di Graffagnini alcuna violenza o minaccia", scrisse il tribunale nelle motivazioni.

In abbreviato, invece, Miccoli - il presunto mandante - fu condannato per estorsione aggravata e il gup Turturici non mancò di mettere in evidenza che il calciatore si sarebbe comportato come un mafioso e di stigmatizzare duramente le parole contro Falcone (che nel processo a Lauricella, invece, non vennero neanche prese in considerazione per valutare i fatti). Le due sentenze andarono dunque in totale contrasto: l'ex capitano sarebbe stato il mandante di un'estorsione che però, una volta messa a segno da Lauricella, sarebbe diventata una "semplice" violenza privata.

La discrepanza fu colmata in appello, quando il verdetto a carico di Lauricella fu pesantemente rivisto e arrivò la condanna a 7 anni proprio per estorsione. I giudici scrissero che il figlio dello "scintilluni" avrebbe eseguito l'ordine di Miccoli "per affermarsi come persona 'importante' e 'di rispetto' dinanzi al suo idolo Miccoli", che avrebbe quindi voluto compiacere. Una decisione che adesso è diventata definitiva e che potrebbe pesare sulla posizione del calciatore, che la Cassazione vaglierà nei prossimi mesi (l'udienza non è stata ancora fissata).
 

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