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Mafia Calatafimi

Restituiti i beni a un boss di corso Calatafimi, i giudici: "Li ha acquistati lecitamente"

Tornano a Maurizio Lareddola, condannato a 14 anni nello stesso processo di Gianni Nicchi, alcuni immobili, un conto corrente e una macchina. Resta sotto sequestro solo un fabbricato di 15 metri quadrati di via Altofonte. Inflitti 3 anni e mezzo di sorveglianza speciale: "E' pericoloso"

E' un mafioso ed è pericoloso, ma buona parte dei beni che gli sono stati sequestrati sono stati acquisiti lecitamente. Questo ha stabilito la sezione Misure di prevenzione del tribunale che ha deciso di restituire a Maurizio Lareddola - uomo del clan di corso Calatafimi condannato a 14 anni nel processo "Hybris" assieme al boss di Pagliarelli Gianni Nicchi - degli immobili, un conto corrente e una macchina. I giudici hanno confermato il sequestro solo di un fabbricato di 15 metri quadrati in via Altofonte ed hanno disposto la sorveglianza speciale per tre anni e mezzo.

Il collegio presieduto da Raffaele Malizia ha accolto in parte le tesi degli avvocati Marco, Valentina e Giulia Clementi, che hanno dimostrato come per un periodo Lareddola fosse stato dipendente della Sicilcassa e i suoi redditi, con quelli della moglie, fossero assolutamente adeguati per acquistare gli immobili che invece erano stati sequestrati su disposizione della Procura.

Larredola era stato arrestato nel 2011 con l'operazione "Hybris". E' stato poi condannato in via definitiva a 14 anni (con il rito abbreviato) per mafia, 5 estorsioni aggravate e un tentativo di violenza privata. Nello stesso processo Nicchi, delfino del vecchio boss di Pagliarelli, Nino Rotolo, aveva rimediato 20 anni di carcere. Lareddola ha fatto parte della famiglia mafiosa di corso Calatafimi e, operando per conto del capomandamento di Pagliarelli, Michele Armanno, ha imposto il pizzo a imprenditori e commercianti. Una "adesione per nulla occasionale ed estemporanea al modus operandi proprio di Cosa nostra - scrivono i giudici - nella quale non ha svolto un ruolo marginale" e "deve affermarsi che il suo ulteriore agire antisociale è stato impedito unicamente dalla detenzione". Per questo gli è stata applicata la sorveglianza speciale per 3 anni e mezzo, più di quanto richiesto dalla stessa Procura (3 anni).

LAREDDOLA MAURIZIO-2L'11 aprile del 2016, erano stati sequestrati anche i beni di Lareddola (nella foto), ovvero l'immobile di 15 metri quadrati in via Altofonte, un conto corrente, una Fiat Cinquecento, un immobile di 9 vani in via V59 e un altro fabbricato in via Altofonte. Per l'accusa, questo patrimonio sarebbe stato acquisito in modo illecito e con i soldi ricavati con gli affari di Cosa nostra. Una tesi a cui si è opposta la difesa, mettendo in evidenza come la Procura avesse valutato soltanto i redditi prodotti da Lareddola dal 1996. Sin dal 1989, però, il boss era stato dipendente della Sicilcassa, riuscendo quindi anche a fare dei risparmi e degli investimenti.

Questo elemento è stato preso in considerazione dal tribunale, che ha stabilito che "i redditi percepiti dal 1992 consentono di ritenere leciti gli acquisti effettuati nel 1999". Inoltre i giudici hanno ritenuto lecito il giro di denaro mosso intorno alla vendita di un immobile di contrada Sambucia, dalla quale Lareddola avrebbe intascato 530 milioni di lire. Il fabbricato rurale era stato acquistato nel 1997 per 5 milioni e al momento della vendita, a febbraio del 2000, "risulta radicalmente mutato tanto da essere definito come 'fabbricato a tre elevazioni fuori terra'", dicono i giudici. Che aggiungono: "Può pertanto ritenersi verosimile (...) che siano stati effettivamente sostenuti degli ingenti costi per la ristrutturazione di tale immobile" e lo dimostrerebbe anche un mutuo da 50 milioni di lire, acceso da Lareddola nel 1998, finalizzato proprio a questi lavori. L'acquirente avrebbe versato 530 milioni di lire, come da preliminare di vendita, e non 178 milioni e mezzo, come risulta dal definitivo. Ma "ad avviso del collegio il maggior prezzo corrisposto non può computarsi interamente tra le entrate del proposto, dovendo essere decurtato dalle spese - certamente non indifferenti - comunque sostenute dallo stesso tra il 1997 (data di acquisto del bene) e il 2000 (dalla della successiva vendita) per la radicale modifica strutturale dell'immobile".

Da questo "affare", però, si giustificherebbe anche l'acquisto nel 2001 dell'immobile di via V59. "Almeno fino al 2001 - afferma il tribunale - il nucleo famigliare del proposto ha dichiarato redditi compatibili con gli acquisti effettuati" e sufficienti anche per comprare l'immobile di via Altfonte 449 per 25.822,85 euro, quello di via V59 per 61.005,95 euro, così come per acquistare la Cinquecento e accumulare somme sul conto corrente. Tutti beni che infatti sono stati restituiti a Lareddola. Mentre per l'immobile di 15 metri quadrati di via Altofonte, acquistato nel 2010 per 5 mila euro, l'acquisto non troverebbe pezze d'appoggio "poiché sostenuto in assenza di fondi sufficienti" e "deve riteneresi che per far fronte all'acquisto, nel periodo in cui si collocano tutti i reati fine commessi da Lareddola nell'interesse dell'associazione mafiosa, il proposto potesse contare su fonti di reddito non dichiarate".

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