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Giovedì, 28 Marzo 2024
Mafia

Depistaggio sulla strage di via D'Amelio, dopo 30 anni riaperta l'inchiesta "Mafia e appalti"

I pm di Caltanissetta avrebbero già sentito alcune persone, tra cui il colonello Giuseppe De Donno che al dossier su collusioni tra boss, politici e imprenditori, lavorò con Mario Mori. La richiesta di archiviazione del fascicolo fu avanzata pochi giorni prima della morte di Paolo Borsellino e per la famiglia (e non solo) la chiave dell'attentato potrebbe essere lì

Da più parti - soprattutto negli ultimi anni - si è pensato che la chiave per scoprire la verità sulla strage di via D'Amelio (e non solo) fosse lì, nell'inchiesta "Mafia e appalti" del Ros dei carabinieri, sugli intrecci tra Cosa nostra, politica e imprenditoria. Un fascicolo scottante di cui si parlò in una riunione in Procura il 14 luglio del 1992, esattamente 5 giorni prima che Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta venissero eliminati, e che proprio in quello stesso periodo fu archiviata. Una pista indicata da tempo da Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso, e che - dopo essere stata evocata e citata in altri processi - ora, come riferisce Elvira Terranova per l'Adnkronos - sarebbe stata finalmente riaperta dalla Procura di Caltanissetta, guidata da Salvatore De Luca. 

Una notizia davvero importante, anche alla luce dell'ultima sentenza sul depistaggio legato alla strage di via D'Amelio, che ha portato alla prescrizione del reato di calunnia per due poliziotti e all'assoluzione per un terzo. Secondo quanto riporta l'agenzia di stampa, i magistrati nisseni avrebbero già sentito alcuni testimoni, tra cui il colonello Giuseppe De Donno che, da giovane capitano a quell'inchiesta lavorò assieme al suo "capo", Mario Mori. Ovvero due dei militari del Ros condannati in primo grado per la così detta trattativa tra Stato e mafia e poi assolti in appello (dopo mesi, si è ancora in attesa del deposito delle motivazioni della sentenza). 

Si riparte dall'informativa consegnata a Giovanni Falcone nel 1991

Trent'anni dopo, dunque, si ricomincia da capo. Da quella delega conferita nel 1989 dalla Procura di Palermo al Ros per accertare "la sussistenza, l'entità e le modalità di condizionamenti mafiosi nel settore degli appalti pubblici nel territorio della provincia di Palermo". Oltre la mafia militare, dunque, cercando di scavare negli affari e nelle inevitabili collusioni tra boss, politici ed imprenditori. "Dal contesto della presente informativa - come si legge nel dossier - emerge una trama occulta, sostanziata da intrecci, relazioni ed intese, volta al fine di prevaricare norme e regole e, allo stesso tempo, di giungere all'accaparramento del denaro pubblico con un'avidità mai esausta e comune sia ai malfattori mafiosi che agli imprenditori a loro collegati i quali poi, tramite i primi, finiscono per esercitare anch'essi e con gusto il potere mafioso". E' uno stralcio dell'informativa che il 20 febbraio del 1991 Mori e De Donno, consegnarono a Giovanni Falcone. E, come ha sostenuto in diverse circostanze Fiammetta Borsellino, ad accelerare la morte del padre non sarebbe stata la così detta trattativa (come affermato invece dalla Corte d'Assise nella sentenza di primo grado) ma proprio l'informativa "Mafia e appalti".

Gli affari dei boss al Nord e Tangentopoli

"Occorre sottolineare anche che l'espansione delle attività di Cosa Nostra al di fuori dell'Isola non si configuri più come un'ipotesi da discutere in sede di analisi o dibattiti, ma appaia qui come una realtà documentata", scriveva ancora il Ros, riferendosi agli affari al Nord dell'organizzazione criminale. Nord dove, di lì a poco, sarebbe scoppiata Tangentopoli. "Tutto questo offende ed umilia quanti fanno dell'onestà il loro abito quotidiano, estranei e moralmente lontani da questo odioso mondo del malaffare e – si legge ancora nel dossier - per coloro che sono impegnati a garantire il rispetto della legge, vedere come buona parte degli individui mafiosi, oggetto della presente informativa, siano tuttora di attualità, e per alcuni anche con una qualificazione criminale accentuata, dopo decine di anni di defatiganti attività investigative, appare mortificante e doloroso, considerati i sacrifici ed i lutti che nelle file di magistratura e forze di polizia, nello stesso lasso di tempo, si sono verificati".

La tesi (smentita) della doppia informativa

Come ricorda ancora l'Adnkronos nella requisitoria del processo d'appello sulla trattativa, l'accusa - rappresentata da Giuseppe Fici e Sergio Barbiera - ha sostenuto che "c'erano due dossier su mafia e appalti" e che "nella prima informativa erano stati omessi i nomi dei politici, potenti", mentre la seconda "con i nomi dei politici", sarebbe stata consegnata 19 mesi dopo, il 5 settembre del 1992", ovvero dopo le stragi. "Nella informativa consegnata a Falcone il 20 febbraio 1991 non erano inseriti i nomi dei cosiddetti politici di peso", ha affermato la Procura generale. Ma questa tesi era già stata smentita in precedenza dal gip di Caltanissetta, Gilda Loforti.

Angelo Siino, il ministro degli Lavori pubblici di Cosa nostra

Fu nell'ambito dell'inchiesta "Mafia e appalti" che gli inquirenti scoprirono la figura di Angelo Siino, il "ministro dei lavori pubblici di Cosa nostra", poi pentito e deceduto a luglio dell'anno scorso. Il Ros mise in evidenza che Siino "appariva proiettato verso un'attività che gli imponeva frequentissimi contatti con altri imprenditori senza che ciò potesse trovare una comprensibile e convincente spiegazione, diversa dalla contraria e seria congettura di una sua piena e diretta partecipazione nella manomissione e nel pilotaggio di appalti per la realizzazione di opere pubbliche". Siino "distribuiva le carte" per conto di Cosa nostra, ovvero incassava le tangenti dagli imprenditori e stabiliva a chi dovessero andare gli appalti pubblici.

La riunione in Procura del 14 luglio 1992

Sta di fatto che 5 giorni prima della strage di via D'Amelio, il giudice Paolo Borsellino, che dell'inchiesta del Ros si era occupato, partecipò a un incontro in Procura, convocato dal capo dell'ufficio, Pietro Giammanco. E - come diversi magistrati riferirono al Csm dopo l'attentato, in audizioni che sono diventate realmente pubbliche soltanto qualche giorno fa - chiese notizie proprio di quell'inchiesta. "Ma in quell'incontro il pm Guido Lo Forte nascose al giudice di avere firmato, appena il giorno prima, l'archiviazione", come ha sostentuto, nel corso dell'arringa del processo sul depistaggio sulla strage, l'avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia Borsellino e marito di Lucia Borsellino, figlia maggiore del giudice. L'ex procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, che lavorò insieme a Lo Forte sul fascicolo ha dichiarato in aula a Caltanissetta che "dire che l'inchiesta è stata archiviata è una falsità indegna".

La richiesta di archiviazione nascosta a Borsellino

L'Adnkronos riporta le parole di Scarpinato, oggi in pensione: "L'indagine ebbe vari momenti. Prima fu assegnato a tutti i membri del pool antimafia. Poi si fece il rinvio a giudizio dei sette che erano stati arrestati, i primi a giugno 1991 ed i secondi a gennaio 1992. Il rinvio a giudizio è di maggio 1992. Dopo vi fu uno stralcio sulla parte più importante dell’inchiesta: appalti di mille miliardi di lire, gestiti dalla Sirap. Lo stralcio è del giugno 1992. Restava una parte residuale con alcuni personaggi nei cui confronti non erano ancora stati acquisiti sufficienti elementi per un rinvio a giudizio". Per Scarpinato "quell'archiviazione non riguardava Mafia e appalti, come spesso nella stampa si legge impropriamente, ma riguardava soltanto la posizione di alcuni soggetti per cui non erano stati aggiunti sufficienti elementi anche a causa di una grave anomalia istituzionale".

"Il giudice ucciso chiese delucidazioni e difese il Ros"

A parlare al Csm della riunione del 14 luglio 1992 è stata per esempio il magistrato Vincenza Sabatino: "Mai era stata convocata un'assemblea di questo genere per i saluti in occasione delle ferie estive" e Giammanco nella convocazione avrebbe rimarcato che nel corso dell'incontro sarebbero state "trattate problematiche di interesse generale attinenti alle seguenti rilevanti indagini che hanno avuto anche larga eco nell'opinione pubblica". E' poi il magistrato Luigi Patronaggio, allora da pochi mesi in Procura, a raccontare che Borsellino chiese delucidazioni sul dossier Mafia e appalti: "Disse espressamente che i carabinieri", cioè Mori e De Donno "si aspettavano da questa informativa dei risultati giudiziari di maggiore respiro". Alla domanda se si riferisse alla posizione dei politici, Patronaggio ha precisato: "In realtà no, non è solo nei confronti dei politici, ma anche nei confronti degli imprenditori, perché il nodo era valutare a fondo la loro posizione e su questo punto il collega Lo Forte si dilungò spiegando il delicato meccanismo e la delicata posizione degli imprenditori".

Borsellino, in altre parole, in quella occasione, si fece portavoce delle lamentele del Ros, cioè degli ufficiali che, come stabilito in primo grado dalla sentenza sulla trattativa, avrebbero avuto un ruolo attivo nel patto coi boss che avrebbe portato poi a un'accelerazione nella decisione di compiere la strage di via D'Amelio. Mentre proprio il giorno prima della riunione in Procura, i pm titolari di "Mafia e appalti", Scarpinato e Lo Forte, avanzarono la richiesta di archiviazione sulle posizioni degli imprenditori. I due magistrati, sentiti come testimoni nel recente processo sul depistaggio Borsellino, hanno detto che mai Borsellino fece quei rilievi durante la riunione.

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