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Mafia Corleone

Mafia, gli imprenditori denunciano il pizzo: quatto arresti a Corleone

All'operazione hanno preso parte cinquanta carabinieri, supportati da unità cinofile e un elicottero. Le indagini sono coordinate dalla dda di Palermo. Accertati, grazie alla collaborazione di imprenditori e commercianti, diversi episodi di estorsione

Operazione antimafia stamani in provincia di Palermo. I carabinieri di Corleone e di Monreale hanno eseguito quattro arresti fra i comuni di Corleone, Palazzo Adriano e Villafrati. Nel blitz sono stati impegnati circa cinquanta militari, unità cinofile e un elicottero. In manette sono finiti: Francesco Paolo Scianni, Pietro Paolo Masaracchia, Ciro Badami, Antonino Lo Bosco.

L'inchiesta, coordinata dalla Dda di Palermo, ha fatto luce sul nuovo assetto di cosa nostra a Corleone, Misilmeri e Belmonte Mezzagno. In particolare gli inquirenti hanno ricostruito i rapporti tra la mafiosa di Palazzo Adriano, quella di Corleone e quella di Villafrati risalendo anche a ruoli e compiti dei singoli esponenti.

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Scoperta anche una serie di estorsioni a carico di imprenditori e commercianti. Diverse vittime avrebbero collaborato all'indagine. In un caso un imprenditore è stato costretto a pagare per due volte il pizzo  - per lo stesso lavoro -  a due famiglie rivali. Gli indagati devono rispondere di "estorsione, con l’aggravante del metodo mafioso".

Mafia e racket a Corleone, 4 arresti

"Per la prima volta - spiegano i militari - è stata constatata la preziosa collaborazione delle vittime che hanno offerto il loro contributo, abbandonando l’atteggiamento di reticenza che fin ora ha caratterizzato gli imprenditori e gli esercenti operanti nel territorio di Corleone. Il muro di omertà degli imprenditori e dei commercianti ha ceduto di fronte all’operato repressivo svolto negli ultimi tempi e alla professionalità dimostrata da magistrati e investigatori, i quali hanno saputo rassicurare ed infondere fiducia nelle vittime. Queste ultime hanno così deciso di raccontare senza alcun riserbo il meccanismo di pagamento del 'pizzo'".

"Le indagini - sottolineano gli investigatori - hanno messo in luce un singolare radicamento delle competenze a esigere il 'pizzo': l’imprenditore o il commerciante è chiamato a versare le somme estorte sia alle famiglie mafiose presenti nel proprio paese di origine sia a quelle operative nelle aree ove l’attività economica si svolge. E' stato possibile documentare come le vittime privilegiate degli associati a cosa nostra fossero quegli imprenditori impegnati nell’esecuzione di appalti pubblici, ora è stato appurato come il metodo estorsivo possa essere applicato anche ai singoli esercizi commerciali o per l’esecuzione di lavori di edilizia privata".

L'inchiesta è stata denominata "Grande Passo 2" ed è il seguito di quella che, nel mese di settembre dello scorso anno, aveva aveva fatto luce sull'organizzazione del mandamento di Corleone. "Quella che è emersa dalle indagini - sottolineano gli inquirenti - è la fotografia di una mafia che nonostante le varie operazioni di polizia riesce sempre a riorganizzare le proprie fila, individuando nuovi affiliati. Ancora una volta è stato accertato come uno dei principali canali di sostentamento delle consorterie mafiose è rappresentato dal provento delle estorsioni, commesse ora anche nei confronti di attività economiche di privati. Questa pressante azione estorsiva, peraltro, si è ripercossa sullo sviluppo economico delle comunità dell’entroterra palermitano, tenuto conto che spesso gli imprenditori hanno dovuto rinunciare persino alla prosecuzione delle loro intraprese aziendali, con la chiusura delle attività, soffocati dall’imposizione del 'pizzo'".
 

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