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"Ricco grazie alla mafia": confiscati beni per 10 milioni a imprenditore palermitano

Finisce nei guai Giuseppe Ferrante. Il provvedimento riguarda beni aziendali di due società edili con sede a Palermo, partecipazioni societarie, immobili a Carini e nel capoluogo, rapporti bancari e polizze vita

I carabinieri del Ros hanno eseguito un decreto di confisca, emesso dal Tribunale di Palermo - Sezione Misure di Prevenzione su richiesta della Procura Distrettuale, nei confronti dell'imprenditore Giuseppe Ferrante e del collaboratore di giustizia Francesco Franzese, già reggente della famiglia di Partanna-Mondello. Il valore stimato dei beni ammonta a circa 10 milioni di euro e sono costituiti dall'intero capitale sociale e relativo complesso di beni aziendali di due società edili con sede a Palermo, partecipazioni societarie, immobili a Carini e Palermo, rapporti bancari e polizze vita.

A Ferrante è stata imposta anche la sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la durata di due anni e sei mesi. "Quest'ultimo - spiegano i carabinieri - aveva costruito la propria fortuna economica esclusivamente con l'appoggio di esponenti mafiosi con i quali si era sempre affiancato per ottenerne vantaggi, incarnando a pieno titolo il profilo dell'imprenditore 'colluso' in grado di condizionare negativamente le libertà di mercato e di iniziativa economica".

E' stato così riconosciuto il rapporto societario di fatto, emerso nel corso delle indagini, che consentiva a Ferrante, unico titolare formale, di avvalersi del ruolo in Cosa Nostra ricoperto dal socio occulto, Franzese, che lo facilitava nei pagamenti, nel reperimento dei fornitori - a loro volta legati all'organizzazione mafiosa - e nella possibilità di effettuare le opere.

Senza l'intervento dell'ex reggente della famiglia di Partanna-Mondello, che in virtù del suo prestigio mafioso aveva peraltro coinvolto l'allora latitante Sandro Lo Piccolo, l'imprenditore - spiegano i carabinieri - non avrebbe mai potuto realizzare alcuni progetti cui era pure interessato il costruttore Vincenzo Graziano, costruttore strettamente legato alla storica famiglia dei Madonia, egemone sul mandamento di Resuttana.

"L'esistenza del rapporto con Franzese, che fungeva di fatto da "garante", aveva inoltre agevolato l'acquisto di terreni, inducendo il proprietario ad effettuare la vendita a condizioni più vantaggiose. Per un certo periodo - si legge in una nota dei carabinieri - l'esponente mafioso era stato assunto come capocantiere dal costruttore, sia per mascherare l'effettivo ruolo rivestito ma, soprattutto, per consentire al primo di potersi recare fuori Palermo, dove era confinato dalla misura di sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno. Nell'arco temporale in cui Franzese era divenuto latitante, la moglie di questi aveva consegnato a Ferrante un'ingente somma di denaro che, almeno in parte, proveniva direttamente dalla cassa dell'organizzazione mafiosa".

"Il costruttore - dicono i carabinieri - mostrando una trasversalità nei rapporti con esponenti mafiosi era in stato legato in precedenza a Eugenio Rizzuto, all'epoca reggente del mandamento della Noce, quindi a Giovanni Galatolo, nipote di Vincenzo Galatolo, già capo della famiglia dell'Acquasanta, e dopo la cattura di Franzese, si era avvicinato a Giuseppe Biondino, figlio dell'autista di Totò Riina".

Il ruolo di Ferrante è stato svelato dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Manuel Pasta, Andrea Bonaccorso e Antonino Nuccio, che hanno confermato quanto riferito dallo stesso Francesco Franzese.
 

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