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Venerdì, 26 Aprile 2024
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Il neopentito Ferrante svela i segreti dei boss: summit nella cella frigo dello "scaro", pizzo e infiltrazioni ai Cantieri

Depositati i primi verbali del braccio operativo del clan dell'Acquasanta, guidato dai fratelli Fontana: "Guadagnavano 30 mila euro al mese con le slot". Conferma anche i suoi affari con la droga e le corse di cavalli truccate. "La reggenza mi venne affidata da Sergio Napolitano al mercato ortofrutticolo, ma mio figlio non c'entra nulla con Cosa nostra"

Il boss dell'Acquasanta Gaetano Fontana, l'aspirante pentito a cui la Procura non crede, disprezza profondamente il braccio operativo del clan Giovanni Ferrante, che ha deciso anche lui di collaborare con la giustizia e ha ottenuto invcece il programma di protezione pure per la sua compagna, Letizia Cinà, tanto che ne parla come di "un cane sciolto". Dalle prime dichiarazioni di Ferrante si apprende però che la reggenza della famiglia gli sarebbe stata affidata da Sergio Napolitano, dopo un incontro con un altro boss, Giuseppe Corona, in una cella frigorifera dello "scaro" e con una stretta di mano.

Nei primi verbali, quelli del 20 agosto e del 2 settembre, depositati stamattina nel processo "Mani in pasta" che si sta svolgendo con l'abbreviato davanti al gup Simone Alecci e in cui Ferrante è imputato con Fontana ed altre 65 persone, il neopentito parla di pizzo, dell'imposizione di farina e carta, di danneggiamenti, di gare ippiche truccate, scommesse on line e slot ("i Fontana incassavano 30 mila euro al mese"), delle infiltrazioni mafiose all'interno dei cantieri navali e ammette di essersi occupato anche di droga, ma esclude per esempio che Cosa nostra si sia mai occupata di riffe. Così come esclude una qualsiasi partecipazione di suo figlio, Francesco Pio, suo coimputato, e tende a ridurre molto il ruolo del fratello Michele.

Ferrante, che si è pentito qualche settimana fa, interrogato dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dai sostituti Dario Scaletta, Giovanni Antoci e Maria Rosaria Perricone, ha riferito proprio sui suoi coimputati, confermando molto spesso la ricostruzione della guardia di finanza, e nei verbali in diversi passaggi ci sono degli omissis, segno che il collaboratore di giustizia ha dato indicazioni ai magistrati sulle quali sono in corso degli approfondimenti, particolari che sinora non erano emersi.

In diversi casi Ferrante non ha invece riconosciuto le persone che gli sono state mostrate in foto: è accaduto - stranamente - con Michela Radogna, ovvero la moglie proprio di Gaetano Fontana, ma anche con Lorenzo e Salvatore Badalamenti, Tommaso Bassi, Stefano Calafiore, Paolo Attilio Remo Cotini, Gianpiero D'Astolfi, Leonardo Distasio, Gianluca Panno, Francesco Charles e Laura Fabio, Gaetano Pilo, Domenico Pitti, Vittorio Stanislao, Massimiliano Regge, Rosolino Ruvolo, Monica Schillaci. Infine, Ferrante non ha riconosciuto neppure l'ex concorrente del "Grande Fratello" coinvolto nel processo, Daniele Santoianni.

L'incontro con Giuseppe Corona e Sergio Napolitano

Si apprende qualcosa sull'affidamento della reggenza dell'Acquasanta a Ferrante quando gli inquirenti gli mostrano la foto di Giuseppe Corona: "E' un uomo d'onore - afferma il collaboratore - che si occupava degli affari di Resuttana e si muoveva anche alla Vucciria. Tramite Sergio Napolitano venni a sapere che trafficava anche in cocaina. Napolitano mi venne presentato proprio da Corona. Prima di Natale 2017 Corona mi disse che Napolitano mi voleva parlare e ci incontrammo allo 'scaro'. Era presente anche mio fratello Michele, perché in passato c'erano stati dei dissidi tra Corona e mio cugino Giovanni Fontana. Corona mi venne presentato come il reggente della famiglia di Resuttana. Mi disse che voleva parlare con Gaetano Fontana. Tramite Domenico Passarello, Gaetano mi fece sapere che non voleva incontrare Napolitano. Fissai un nuovo appuntamento con Corona. Al successivo incontro Napolitano mi propose la reggenza dell'Acquasanta, anche in virtù della mia parentela con i Fontana. Presi qualche giorno per decidere. Poi ci incontrammo e accettai l'incarico, ribadendo che tuttavia la gestione delle macchinette e dei siti sarebbe rimasta ai Fontana, non avrei accettato mettendomi contro i Fontana. Napolitano acconsentì perché temeva i miei cugini. Inoltre Gaetano, tramite Passarello, aveva riferito che nel caso fossero state intaccate le loro attività, avrebbe preso provvedimenti".

La reggenza del clan affidata in una cella frigorifera dello "scaro"

Ferrante precisa poi che "era presente mio fratello quando assunsi l'incarico, c'erano anche Corona e Napolitano, questi ultimi mi strinsero la mano per formalizzare l'accordo. Ci trovavamo in una cella frigorifera nello scaro. Mio fratello riferì dell'incontro ai Fontana. Poi contattai Napolitano nel suo bar di via Libertà. Gli ho presentato Liborio Sciacca, il mio uomo di fiducia che mi avrebbe sostituito nelle occasioni in cui mi sarei allontanato da Palermo, nel 2017. Napolitano volle presentato Domenico Onorato, quando dovevamo avviare il traffico di droga all'Acquasanta. Li presentai, Onorato accettò di gestire la droga nel nostro territorio e il primo carico venne consegnato già il giorno successivo".

Il malcontento dei boss Angelo e Gaetano Fontana

I Fontana però non sarebbero stati felici della sua reggenza: "In un'occasione si incontrarono Angelo e Gaetano Fontana e Giulio Biondo allo Stefan Bar, prima di Natale 2019, per scambiarsi gli auguri. Biondo mi riferì che Gaetano aveva manifestato il suo malcontento per la mia reggenza. Affermava di aver alzato le mani, era sempre presente nella gestione del territorio. I Fontana anche oggi continuano a gestire le loro estorsioni, così come avviene alla Sapevsana (ditta dei cantieri navali, ndr)". E poi racconta un altro episodio: "Angelo Fontana, tuttora attivo a Palermo e che si è sempre occupato di macchinette e slot per mezzo di Biondo, sapeva della mia assunzione della reggenza della famiglia tanto che al bar mi si avvicinò e mi mise la mano sulla spalla dicendomi 'che stai cumminanno?', riferendosi anche al fatto che i Fontana non erano d'accordo".

"I Fontana incassavano 30 mila euro al mese con slot e scommesse"

E' proprio quando gli viene mostrata la foto di Giulio Biondo che Ferrante racconta invece degli affari molto fiorenti del clan con le scommesse: "Per anni Biondo fece da autista a mio zio Stefano Fontana e ai Galatolo. Si occupava di macchinette e scommesse on line. Le agenzie di scommesse nella nostra zona potevano essere aperte solo previa autorizzazione dei Fontana, poi le pratiche amministrative venivano seguite da Biondo. Una volta al mese venivano quantificati i guadagni e venivano portati a Milano ai Fontana. Le somme guadagnate dai Fontana in questo settore ammontavano a circa 30 mila euro al mese, mentre circa 20 mila euro spettavano a Biondo. I conti nelle agenzie venivano fatti settimanalmente. I soldi venivano percepiti da tre fratelli Fontana, da Rita e dalla madre Angela Teresi".

La mappa delle sale e delle macchinette: "Non pagavano il pizzo"

Ferrante spiega poi dove si sarebbero trovate le agenzie: "Una di esse è in via Montalbo, cento metri a destra rispetto al mercato ortofrutticolo. Una seconda si trova proprio al centro di via Montalbo, accanto a un negozio di scarpe, venne acquisita da mio cugino Giovanni Fontana, in quanto aveva prestato dei soldi al titolare. In via Papa Sergio ve ne erano delle altre di cui non so fornire altri dettagli. C'è anche l'agenzia di Giuseppe Spallina, gestita da Biondo. Poi ci sono le macchinette di un tabaccaio di via Montepellegrino, di fronte allo 'scaro', erano gestite da Biondo. Altre macchinette erano al Cin Cin Bar ed allo Stefan Bar e i proprietari erano consapevoli che avrebbero subito delle ripercussioni nel caso in cui non si fossero rivolti ai Fontana. Biondo poi avviò un'altra attività in via Montepellegrino accanto ad un altro negozio di scarpe. Un'altra agenzia di Biondo si trovava in via Don Orione. Le attività che ho elencato erano esentate dal pizzo perché subivano già l'imposizione dei siti dei Fontana".

"Ero io a fare i conti ogni settimana"

L'elenco prosegue: "Un'altra agenzia si trova all'altezza di Gammicchia Gomme e prima era di Davide Matassa. Originariamente apparteneva a mio zio Stefano Fontana. So tutte queste cose perché, prima di assumere la reggenza, accompagnavo Biondo per effettuare i conti settimanali. Un sito era collocato da Biondo nella Taverna nella titolarità di Antonino Bonura. Preciso che Napolitano si era messo a disposizione, attraverso Biondo, per collocare delle macchinette a Resuttana, i cui guadagni dovevano servire per il pagamento dei miei ragazzi che facevano le estorsioni. Ma tale progetto non andò in porto in quanto io stesso non volevo interferire con i miei cugini. Anche nell'agenzia 'Mangio, bevo e...' vi erano delle macchinette dei Fontana". Il collaboratore sostiene anche che Giovanni Mamone "si incontrava con Biondo per riscuotere le somme da portare poi ai Fontana come provento delle attività illecite di gioco e scommesse che i Fontana gestivano all'Acquasanta". 

Le corse di cavalli truccate a Palermo e a Taranto

Ferrante fa poi riferimento alle gare ippiche truccate: "Biondo partecipò alle gare ippiche truccate, ad esempio ad Albenga, mi aiutò ad effettuare delle scommesse nel 2017. Ha fatto per mio conto anche altre giocate". Il collaboratore, appassionato di cavalli (cosa che porta Gaetano Fontana a disprezzarlo maggiormente), nega alcune combine che gli vengono contestate dalla Procura: "Nego le corse truccate che si riferiscono agli ippodromi di Modena, Milano e Siracusa. Preciso che i fantini molto spesso si accordano sull'andamento della gara. Le corse truccate venivano organizzate principalmente a Palermo e Taranto..." e seguono degli omissis.

"Imbrogliando ad Albenga vincemmo 10 mila euro"

Aggiunge, parlando di Cristian Ammirata che "ha lavorato con me nel settore dei cavalli, si occupava della loro cura, in un'occasione ci recammo insieme a Napoli. Qualche volta, 4 o 5, ha fatto delle ricariche postepay per conto mio. Ricordo la gara ippica che mi citate avvenuta a Torino, per cui abbiamo fatto delle puntate; tuttavia anche se avevamo tentato di condizionare la gara, non siamo riusciti nel nostro intento, perdendo anche i soldi scommessi. Giunti a Torino con Mimmo Zanca, quest'ultimo ci presentò Elvis Vessichelli per truccare la gara. Tuttavia Vessichelli non era d'accordo e propose di posticipare alla corsa di Albenga. Di truccare la corsa avvenuta lì si occupò proprio lui a cui vennero corrisposti circa 3.500 euro in contanti. Ricordo che questa cifra fu particolarmente alta in quanto il favorito, Parussati, non voleva rinunciare alla possibilità di vincere il premio. In quella circostanza abbiamo vinto circa 10 mila euro".

"Quel multiplo che fruttò 80 mila euro"

Parlando invece di Andrea Ciampallari Ferrante dice che "era appassionato come me di cavalli e acquistanno dei cavalli noi due e Santo Pace" (sul cui conto afferma anche che "si è occupato e si occupa di droga, ha gestito anche le vicende dell'ippodromo, organizzando le corse truccate, è pienamente inserito nel contesto associativo"). "Ciampallari però volle svincolarsi e io acquistai la sua quota. Mi vedevo con Napolitano nel negozio di Ciampallari. Un giorno mi disse che dovevamo trovare un altro luogo d'incontro, forse anche perché ci aveva sentito parlare di corse truccate. Nel suo negozio organizzammo un multiplo a Palermo, nella primavera del 2018, che ci fruttò circa 80 mila euro".

"Alcuni dei miei cavalli acquistati con proventi illeciti"

Ferrante conferma poi che "i miei cavalli erano intestati a mia moglie poiché, da pregiudicato, rischiavo misure di prevenzione. Parte dei cavalli sono stati comprati con quanto percepito dalla gara multipla truccata di cui ho parlato. Per quanto riguarda Bodigius Sm, Bony Gil Sm, AvetieChuc Sm sono stati acquistati per 20 mila euro con proventi illeciti e sono stati pagati con assegni. Zeroglutine Par e Virtual Op sono stati acquistati con Mimmo Zanca. Ritengo che gli altri cavalli sono stati acquistati con rimesse lecite". Sul conto di Giovanni Giannusa, Ferrante mette a verbale che "ha partecipato alle corse clandestine a Taranto e alle gare truccate".

Il pizzo allo "scaro": "Ogni stand doveva pagare 250 euro"

Ci sono poi diversi passaggi dedicati al pizzo e ai danneggiamenti. Secondo l'accusa, peraltro, Ferrante sarebbe stato particolarmente violento nelle estorsioni e gliene vengono contestate una quarantina. Parla per esempio di Pietro Abbagnato: "Si è messo a disposizione con Napolitano per la riscossione del pizzo al mercato ortofrutticolo. Nel 2018, nel periodo di Pasqua. Preciso che allo 'scaro' vi erano già i miei cugini Fontana con Passarello che si occupavano delle carrettelle. Nel 2018 Napolitano decise che gli stand del mercato dovessero pagare circa 250 euro due volte l'anno, per Natale e per Pasqua. Tuttavia, quando iniziammo a chiedere il pizzo per il mantenimento dei carcerati, fummo denunciati. Abbagnato si accompagnava con con Salvatore Ciancio".

Le estorsioni a tappeto, la colla nei lucchetti e i danneggiamenti

Quando gli viene mostrato Fabrizio Basile, detto "u fasuluni", Ferrante afferma: "E' uno spacciatore di cocaina. La droga veniva acquistata da noi della famiglia dell'Acquasanta e incaricai Basile di rifornirsi di droga per circa 30 grammi una volta alla settimana. La droga veniva consegnata in fiducia e per questo Basile si mise a disposizione per commettere danneggiamenti per conto di Napolitano, in particolare a una concessionaria. Successivamente bruciò anche gli ombrelloni di un locale. Il danneggiamento ad un panificio venne compiuto per mio conto, perché non mi era stata pagata la farina. La benzina venne collocata per non fargli aprire più l'attività. Con riferimento ad un altro locale, il danneggiamento venne commissionato da me a Basile sia nel negozio dell'Acquasanta che di Mondello. Commissionai anche a un punto Snai, ma Basile sbagliò bersaglio e danneggiò un'agenzia che non c'entrava nulla. Ho imposto la farina in un altro panificio, che fu oggetto di un atto intimidatorio".
Ferrante riferisce anche di un'estorsione ai danni di un suo cugino perché adeguasse i prezzi dello scaccio durante la festa dei Morti.

L'imposizione di carta e farina

Per quanto attiene all'imposizione della farina, Ferrante parla di un altro panificio che "si era reso disponibile per la carta ma non per la farina, così decisi di far scaricare comunque davanti al negozio 50 pacchi di farina che poi vennero regolarmente pagati". Poi sostiene di aver "incaricato Sciacca dell'incendio della macchina della madre di un commerciante, a cui dare poi direttamente una lezione. Sciacca è andato con Roberto Gulotta". Un'altra estorsione a un panificio sarebbe stata compiuta secondo il pentito da Passarello.

"Mi sono occupato anche di droga"

Oltre ad ammettere di essersi occupato anche di droga, Ferrante indica altri imputati che sarebbero stati coinvolti nel giro, come Danilo D'Ignoti ("spacciava droga"), Lorenzo Di Salvo ("in passato era inserito nel traffico di droga") e Salvatore Giglio, che sarebbe "lo spacciatore che opera per conto di Passarello".

Le infiltrazioni ai cantieri navali: "Tutti facevano ciò che dicevo io"

Un lungo capitolo è dedicato poi ai cantieri navali e alla figura di Roberto Giuffrida. Lo stesso Ferrante lavorava per la Spavesana: "Entrai nella Spavesana nel 2008 - spiega - grazie a mio zio Stefano Fontana per poteggere Giuffrida. Ero anche il rappresentante di mio zio e la gente faceva quello che dicevo io perché sapevano chi rappresentavo. Gli operai per esempio prendevano meno di quanto riportato in busta paga e i conti li faceva Giuffrida e nessuno si è mai opposto. I soldi in nero che ne derivavano servivano anche a pagare mio zio Stefano. Nel 2008 aveva chiesto 1.300 euro al mese, dopo sono diventati 1.500. Io lavoravo per 2.500, anche quando ero in cassa integrazione o in carcere. Gestiva tutto Giuffrida anche se gli operai si lamentavano. Dopo la morte di mio zio, ha continuato a pagare i suoi 1.500 euro ai fratelli Fontana".

Il giro di incassi in nero e il ruolo del fratello Michele 

Parlando del fratello Michele, che lavorava anche lui alla Spavesana, Ferrante dice che "una volta Giuffrida mi ha chiamato dicendomi che aveva ricavato 200 mila euro in più da alcuni lavori e non voleva distribuirli tra i soci ma intascarli, ho deciso io cosa fare perché Stefano e Gaetano Fontana erano in carcere. Ho deciso di dividere la somma in 5 parti: una per me, una per mio fratello, una per i Fontana, una di Scrima e l'altra per Giuffrida. Quando Gaetano Fontana è uscito dal carcere ha voluto la parte mia e di mio fratello. Mio fratello glieli ha dati, io no. Mio fratello aveva acquistato l'agenzia di scommesse a 50 per cento con Biondo e i siti e le macchinette erano dei Fontana. Gestiva la G&G che era la mia società per la farina. Non ha nulla a che fare con le gare dei cavalli, aveva un terzo di un cavallo con me, ma non l'ho mai messo a conoscenza delle corse truccate. Non si è mai occupato di imporre sacchetti".

Le false fatture e i buoni spesa nel supermercato dei Fontana

Sui cantieri navali Ferrante afferma anche che "il magazzino di via Cimbali era del cantiere navale ed era a disposizione per gli incontri della famiglia mafiosa" e racconta che una volta aveva informato "del malcontento degli operai" della Spaevsana Gaetano Fontana "e disse che se ne sarebbe occupato Passarello e che mi avrebbe fatto abbassare lo stipendio". Parlando poi di Giuseppe Gambino sostiene che "è il titolare dei supermercati Gambino, riforniva di acqua la Spavesana. Se Giuffrida aveva bisogno di fatture false si rivolgeva a Gambino. I supermercati so che sono dei Fontana. Con Giuseppe Gambino ho concordato false fatture per coprire il nero della Spavesana creato dalle buste paga gonfiate. Mi ha dato dei buoni spesa a credito che ho corrisposto agli operai. Alla fine questi buoni spesa erano soldi degli operai, Giuffrida li toglieva da un lato e io glieli davo dall'altro".

"Mio padre ha sempre lavorato, non c'entra nulla con Cosa nostra"

Il pentito parla anche di suo padre, Francesco Ferrante: "Non ha mai avuto rapporti con Cosa nostra, è uno dei fondatori della cooperativa Spavesana e ha sempre lavorato. Mi aiutava al negozio di frutta. Ho mandato una lettera dal carcere a mio padre, che doveva consegnarla a Biondo. In realtà era indirizzata a Giuffrida che doveva regolarizzare il pagamento del mio stipendio perché non mi pagava puntualmente. Prima di pagarmi, Giuffrida si faceva fare delle fatture da Biondo. Mio padre non ha nulla a che fare con il supermercato Gambino e nemmeno con le questioni con Massimo Monti, che non ha mai pagato il pizzo nella nostra zona. Quando andai a proporgli le macchinette, Monti mi disse che era d'accordo con Gaetano Fontana e l'abbiamo lasciato in pace proprio per questo motivo".

"Mio figlio non ha nulla a che fare con la mafia"

Esclude un coinvolgimento in Cosa nostra anche del figlio, Francesco Pio Ferrante: "Ha sempre lavorato e con la mafia non ha nulla a che fare" e in relazione alla presunta intestazione "dei locali di via Impastato, l'ho saputo quando ero in carcere - dice Ferrante - se l'avessi saputo avrei ripreso mio fratello perché io non volevo che mio figlio entrasse nelle vicende di mafia".

"Cosa nostra non si è mai occupata di riffe"

Non nega di aver dato degli incarichi al figlio, ma questi non avrebbe seguito le sue indicazioni: "Ho incaricato mio figlio e Sciacca di aiutare il comitato nella vendita dei biglietti fatta dal comitato per una festa, ma la mafia con le riffe non ha nulla a che fare. A volte ho dato indicazioni a mio figlio, ma lui non le ha mai eseguite". E conclude: "La mia compagna e poi anche mio figlio hanno capito qualcosa del mio ruolo di reggente in Cosa nostra quando è uscita la notizia dell'arresto di Napolitano".

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