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Addiopizzo a 31 anni dalla morte di Libero Grassi: "Oggi chi paga non è vittima ma connivente"

L'analisi dell'associazione antiracket sul fenomeno estorsivo propone un cambio di rotta: "Le inchieste dimostrano che gli imprenditori che si piegano lo fanno non per paura, ma per interesse, per ottenere servizi, come il recupero di crediti o l'eliminazione della concorrenza: ovvio che non denuncino. Servono quindi nuovi strumenti"

E' profondamente cambiata Cosa nostra - che non è più quella sanguinaria e stragista dei corleonesi - e, di conseguenza, è cambiato anche il fenomeno estorsivo. Si paga (eccome se si paga) il pizzo, ma spesso si tratta di cifre irrisorie (anche solo 5 euro) e, soprattutto, si tace. "Non più per paura - come afferma Addiopizzo - ma per interesse". E quella che una volta era nitidamente la vittima di un sistema violento e spietato, che stritolava e non lasciava scampo, oggi ha piuttosto il volto della "connivenza". Spesso l'imprenditore taglieggiato è infatti imparentato con l'estorsore del suo quartiere o fa addirittura parte lui stesso dell'organizzazione criminale. Secondo l'analisi dell'associazione antiracket, chi accetta di versare la tangente a (quel che resta di) Cosa nostra oggi lo fa per ottenere dei "servizi": eliminare la concorrenza, recuperare crediti, risolvere vertenze coi propri dipendenti, per esempio.

Palermo non è più come Beirut: cosa resta di Cosa nostra?

A 31 anni dall'omicidio di Libero Grassi (per l'anniversario sono in programma domani diverse iniziative), l'analisi proposta da Addiopizzo - che prima di altri ha saputo raccogliere il seme della sfida lanciata dall'imprenditore che, in solitudine, trovò il coraggio di opporsi anche pubblicamente al racket - spinge a rivedere una narrazione (dominante e conformista), fossilizzata sugli schemi validi una ventina di anni fa, ma ormai superati dalla realtà. Una realtà che peraltro emerge con chiarezza dalle ultime inchieste giudiziarie: basta leggere le intercettazioni con attenzione, scorrere i capi d'imputazione, i nomi (e soprattutto i soprannomi improbabili) per accorgersene. In questo contesto, secondo Addiopizzo, continuare a focalizzare l'attenzione sul numero delle denunce, per esempio, diventa estremamente fuorviante: "Se chi paga il pizzo lo fa per interesse e in virtù delle relazioni che intrattiene con i clan - spiega infatti l'associazione - è illusorio aspettarsi collaborazioni e denunce. Da qui l'esigenza di ridefinire l'analisi e di trovare nuovi strumenti di contrasto".

"Il contesto è cambiato rispetto ai decenni scorsi"

Chi può negare che Palermo e la sua provincia, da questo punto di vista, non siano più quelle del 2004, quando proprio il comitato Addiopizzo nacque, tappezzando le strade con i manifesti listati a lutto e la scritta, diventata un simbolo, "un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità"? Chi può negare che il contesto non è più quello in cui Libero Grassi decise, per esempio, di scrivere attraverso il Giornale di Sicilia al suo "ignoto estorsore" per dirgli che non si sarebbe mai piegato e venne lasciato completamente solo, anche dai suoi colleghi e dalle associazioni di categoria, che definirono per giunta le sue esternazioni una "tammurriata" (dopo tempo chiesero anche pubblicamente scusa)?

"Ci sono state significative, seppure isolate, ribellioni collettive"

Oggi, come sottolinea l'associazione antiracket, si può denunciare ed ottenere ogni forma di tutela e "soprattutto grazie all'intervento della magistratura e delle forze dell'ordine" nel tempo si sono registrate anche "significative, seppure isolate, ribellioni collettive, come nelle 5 operazioni Addiopizzo sul mandamento di San Lorenzo (dal 2008), nell'area industriale di Carini nel 2009, nella maxioperazione Apocalisse del 2014, ma anche nella zona di via Maqueda, sulla scorta delle testimonianze dei commercianti bengalesi, nel 2016 e, per ultimo, con l'operazione Resilienza, a Borgo Vecchio, nel 2020". I boss temono le intercettazioni (e ce lo dicono proprio le intercettazioni), temono gli adesivi di Addiopizzo sulle vetrine, temono di trovarsi davanti imprenditori "sbirri". Non bussano più "a tappeto" (per usare un'espressione spesso abusata) a tutte le porte, dunque, e si lamentano pure degli scarsi incassi.

Le confessioni di un estorsore: "Non ne vale la pena, non mi pago neanche la benzina"

Ma in alcune zone della città c'è ancora chi paga e tace...

Dall'altro lato, però, esistono zone della città, come Brancaccio (e anche questo è emerso dalle ultime inchieste, "Stirpe" in particolare) dove non solo il pizzo viene imposto anche all'ultimo degli sfincionari e vengono chiesti anche solo 5 euro agli ambulanti del mercato domenicale, ma commercianti ed imprenditori arrivano a negare pure l'evidenza cristallizzata dalle intercettazioni. Tanto che la Procura ha dovuto iscrivere per favoreggiamento una quarantina di loro. Ed è proprio in questi casi che, secondo Addiopizzo, emerge la connivenza tra "vittima" e estorsore.

"Non denunciano per interesse, non per paura"

"Si tratta di commercianti e imprenditori che - spiega l'associazione - in cambio del pizzo pagato chiedono servizi: c’è chi paga e non denuncia perché si rivolge al suo estorsore per impedire l'apertura di attività concorrenti nel proprio quartiere oppure per recuperare crediti dai propri clienti, ma anche per dirimere vertenze con i dipendenti e risolvere problemi di vicinato. C'è chi paga e non denuncia perché appartiene a Cosa nostra o perché il pizzo lo corrisponde al proprio cugino o genero, che è l'estorsore del rione".

"Servono nuovi strumenti di contrasto"

Ecco perché "oggi serve una svolta, occorre ripartire in primo luogo dalla riformulazione dell'analisi sul fenomeno estorsivo per adottare nuovi strumenti amministrativi, utili a rendere sconvenienti le relazioni di connivenza che lesionano il mercato e sterilizzano la libera concorrenza a danno di imprese e consumatori", afferma Addiopizzo. Che punta però l'indice anche in un'altra - quanto mai attuale - direzione: "In un momento in cui si registra un calo di interesse sui temi della lotta alle mafie nell'agenda elettorale dei partiti, la svolta deve riguardare anche chi si candida a rappresentare i cittadini, che non può ignorare il tema della 'qualità del consenso'. Fu proprio Libero Grassi nell'aprile del 1991 a rilanciare tale questione, sostenendo la necessità di mettere al bando 'le cattive raccolte di voti'. Del resto - conclude l'associazione antiracket - non si può chiedere a commercianti e imprenditori di denunciare le estorsioni se da chi governa e amministra non proviene il buon esempio".

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