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Nome in codice Sbirulino, così Ultimo chiamava Riina prima dell'arresto: "Dalla Chiesa? Avanti di 30 anni"

Il 41bis, la cattura del capo dei capi, l'imputazione nella trattativa Stato-mafia, il generale che morì in via Carini, i magistrati e la scorta revocata: il colonnello Sergio De Caprio ha raccontato, durante la presentazione di un libro, uno dei momenti che ha segnato la storia di questo Paese

Sergio De Caprio, conosciuto da tutti come il Capitano Ultimo, torna a parlare e a fare rivelazioni. Nel corso della presentazione del suo libro a Viterbo, scritto a quattro mani con Pino Corrias, il colonnello dei carabinieri ha rilasciato delle dichiarazioni interessanti, alcune delle quali destinate a far discutere. 

L’arresto di Totò Riina 

Totó Riina arrestato-2
Totó Riina in manette

Ultimo ha ripercorso l’arresto di Totò Riina, avvenuto il 15 gennaio del 1993: “Tutto è iniziato con la chiamata del colonnello Mori. Sin da subito avevo una gran voglia di lavorare, soprattutto avevo le idee chiare su come impostare il lavoro. Durante il periodo a Bagheria, mi rimase impressa una frase pronunciata da Riina, in cui diceva di ‘avere nel cuore la famiglia Ganci della Noce’. Pian piano, scoprimmo che la gestione dei pizzi da prendere sugli appalti presi spettava proprio alla famiglia Ganci, di base al quartiere Noce di Palermo”. Un’intuizione che ha svoltato il corso della storia: “Quella frase di Riina rimase agli atti e noi iniziammo a seguire i componenti  della famiglia. Scoprimmo dove abitavano, a Monreale, che avevano delle attività e che non solo gestivano l’appalto la proprio dirigevano i lavori. Ci furono diversi pedinamenti importanti, in cui scoprimmo informazioni preziose sul modus operandi mafioso”. Fino a quando non arrivarono le prime conferme: “A gennaio, un collaboratore di giustizia, Balduccio di Maggio, ci disse che Riina lo tenevano o i Ganci o i Sansone”. E infatti, così era: “Si nascondeva in via Bernini, in un’utenza riconducibile alla famiglia Sansone. Il resto della storia è cosa nota: controllando i filmati, Di Maggio identifica la famiglia di Riina, la mattina alle 9 arriva Biondino, tra l’altro killer di tre carabinieri, e preleva Riina. Noi li seguiamo, poi alla rotonda del Motel Agip, io e Vichingo prendiamo Riina”.

Il processo per la trattiva Stato-Mafia 

L’arresto di Riina, allora capo dei capi, fece subito il giro del mondo. Tuttavia, anziché passare come un eroe, per Ultimo iniziò un calvario. La mancata perquisizione del covo di via Bernini, avvenuta solo alcuni giorni dopo, quando la villa era stata ormai svuotata e ripulita, sfociò in una rovente polemica tra la Procura e i carabinieri. Mori e Ultimo vennero addirittura accusati di favoreggiamento a Cosa Nostra in un processo che poi, alla fine, li vide assolti. “Tutto nacque da quella perquisizione fatta in ritardo - spiega Ultimo -. In realtà, più volte ho spiegato che si trattò di una scelta tecnica ponderata. Ci trovammo di fronte a un bivio: continuare i pedinamenti, avendo la possibilità di poter scoprire ulteriori dettagli, oppure perquisire l’abitazione. Scegliemmo la prima. Del resto, cosa avremmo potuto trovare in quella casa? Materiale per accusare Riina e la famiglia? Abbiamo visto cosa c’era a casa di Messina Denaro, del viagra, preservativi e una pistola. La realtà è che avremmo solo fatto sapere ai mafiosi di aver individuato quel covo”. La vicenda del processo, comprensibilmente, ha generato in Ultimo un senso di diffidenza nei confronti dei pm: “Contro di me si sono mossi pezzi deviati della procura di Palermo, che hanno creato e instillato nel popolo dubbi e sfiducia nelle istituzioni, per spaventarli e fargli credere che è impossibile battere la mafia. E invece è facile, basta alzare la voce e la testa”. La stoccata finale, nei confronti dei magistrati, è quasi tombale: “Questi professori strani, che hanno fatto battaglie solo dentro le aule di tribunale e che sulla strada non ci hanno messo manco un piede perché hanno paura di uscire in servizio e di intervenire sugli omicidi, vogliono insegnare ai carabinieri come si deve fare. A noi carabinieri ce l’hanno insegnato i nostri morti come si combatte”. Il teorema della presunta trattativa Stato-mafia, per Ultimo, non regge: “Si è presa in giro la gente a livello di circo, sono state dette e scritte cose ridicole. Hanno creato una pagliacciata e ora inizio a dubitare della buona fede”.

Il 41 bis e la scorta revocata 

Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo-2
Sergio De Caprio, il Capitano Ultimo-2

Oltre all’imputazione, poco onorevole, per la trattativa, nel 2019 a De Caprio è stata anche revocata dal prefetto di Roma la scorta. Il Consiglio di Stato, successivamente, l’ha riconfermata. “Mi dicono che non c’è pericolo per me ma, se ancora ci sono molti mafiosi al 41bis, chiaramente, vuol dire che deve esserci ancora un pericolo. Non solo per me ma per tutti. Altrimenti lo avrebbero abolito”. E, proprio sul regime di detenzione speciale, il colonnello ha un’idea chiara: “Il 41bis è incostituzionale, ma è d’urgenza. Cerchiamo di entrare in questo argomento come società civile, noi dobbiamo accettare questi provvedimenti se uniti a misure per distruggere un fenomeno pericoloso, non solo la mafia ma anche il terrorismo. Oggi - spiega - siamo in grado di pedinare tutti i mafiosi liberi? Sappiamo che l’organizzazione si riproduce per linee di sangue e parentele, li conosciamo tutti questi mafiosi, nomi e cognomi. Eppure gli permettiamo di avere accesso alle attività economiche”. La sua personale ricetta c’è: “Perché non mettiamo per legge delle telecamere sotto casa di un mafioso, perché non gli vietiamo di aprire un’attività? Questa è vera deterrenza. Pensate a quante restrizioni sono state pensate per i tifosi di calcio, su tutte il Daspo. Perché non controlliamo cosi anche mafiosi? È anticostituzionale? Sì, come il 41bis, ma per un periodo si può fare e sarebbe certamente meglio del regime d’isolamento perpetuo, almeno vinceremmo velocemente”.

Il ricordo del generale Dalla Chiesa e Riina "Sbirulino" 

Davanti alla platea, Ultimo ha poi ricordato con commozione il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Combattere ombra contro ombra, in profondità, ce lo ha insegnato lui”. E, infatti, durante l’arresto, mise Riina sotto a una sua foto: “Ha cambiato il modo di fare sicurezza e praticare polizia giudiziaria in Italia e in Europa. Era avanti di 30 anni, parlando di prova tecnica anticipando la riforma del codice di procedura penale vent’anni prima. Per gli arresti, è stato il primo a parlare di prove acquisite con registrazioni ambientali, foto e quant’altro. Questo modo di combattere, simile alla lotta partigiana che lui aveva appreso sul campo, è stata una rivoluzione. Gli insegnamenti e la tecnica che ci ha dato sono un patrimonio culturale che deve essere difeso”. Infine, una nota di colore prima di dedicarsi alle foto e agli autografi. Ultimo ha rivelato un aneddoto interessante proprio sull’arresto di Riina: “A quell’epoca, tutti potevano ascoltare le nostre comunicazioni radio, giornalisti e soprattutto mafiosi. Così, per non farci scoprire, abbiamo dato a Riina il nome in codice ‘Sbirulino’. Non c’era ovviamente assonanza fisica, ma più è importante l’obiettivo e tanto è più scarso il nome”.

Fonte ViterboToday.it 

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