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Mafia Brancaccio

Boss condannato per la strage di via D'Amelio, ma per i giudici è da rivedere la detenzione al 41 bis

La Cassazione ha accolto il ricorso di Vittorio Tutino e disposto un nuovo giudizio sulla proroga dello speciale regime carcerario. Nella sentenza si parla di "apparenza motivazionale" del provvedimento, in quanto vi si sostiene che il mafioso di Brancaccio sia stato condannato anche per l'eccidio di Capaci, dal quale è stato però assolto

Da rivedere, secondo la Cassazione, la detenzione al 41 bis del boss di Brancaccio Vittorio Tutino, recluso dal 1995 e per il quale, a novembre del 2019, il ministero dell'Interno aveva disposto la proroga dello speciale regime carcerario. La prima sezione della Suprema Corte, presieduta da Adriano Iasillo, ha infatti accolto il ricorso del mafioso, annullando con rinvio l'ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Roma, emessa il 28 gennaio dell'anno scorso, che aveva invece ritenuto pienamente legittimo il provvedimento del ministero. Bisognerà dunque celebrare un nuovo giudizio e superare quella che i giudici definiscono "apparenza motivazionale".

Nel provvedimento impugnato da Tutino, infatti, si mette in evidenza il suo "ruolo di spicco nella famiglia mafiosa di Brancaccio" e, ad ulteriore sostegno della sua pericolosità, il tribunale di Sorveglianza scrive che "ha fattivamente partecipato alle stragi di Capaci e via D'Amelio", oltre a commettere diversi omicidi e a non aver manifestato "segnali di ravvedimento o dissociazione durante la detenzione".

C'è solo un problema - come ha rimarcato l'avvocato di Tutino - il boss è stato assolto dalla strage di Capaci, in primo grado come in appello (a luglio del 2020). Così come è stato scagionato per le stragi di Roma e di Firenze. Per via D'Amelio, invece, la sua condanna all'ergastolo è effettivamente diventata definitiva lo scorso ottobre. Per la difesa, dunque, ci sarebbe stata una "omessa valutazione dei punti specifici del reclamo". E, per la Cassazione, "il ricorso è fondato".

Nella sentenza, si spiega infatti che per la proroga del 41 bis servono "l'accertamento dell'attuale capacità del condannato di mantenere contatti con l'associazione criminale" e la valutazione "della permanenza delle condizioni di pericolo già in origine poste a fondamento del regime detentivo differenziato". Inoltre "la motivazione del provvedimento di proproga deve, da un lato, rapportarsi alle originarie statuizioni, dall'altro, vagliare gli elementi sopravvenuti idonei a rappresentare mutamenti nelle varie condizioni di fatto che possono incidere sulla necessità di mantenere in vita le restrizioni al regime ordinario".

Scrivono poi i giudici: "Nel caso in esame, ferma restando la possibilità di ritenere sussistente la condizione soggettiva di pericolosità anche in rapporto alla - pregressa - intensità del ruolo svolto in ambito associativo, risulta fondata la deduzione di 'apparenza motivazionale", non avendo il tribunale realizzato un concreto apprezzamento dei dati storici offerti dal reclamante, tra cui le intervenute assoluzioni in vicende giudiziarie di indubbia rilevanza". Da qui l'annullamento con rinvio del provvedimento che dovrà essere quindi nuovamente vagliato dal tribunale di Sorveglianza di Roma.

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