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Giovedì, 28 Marzo 2024
Mafia

Boss al 41 bis ma pure padre, sì al ricorso di Lo Piccolo: "Può dare regali alla figlia durante i colloqui"

La Cassazione ha dato ragione a Sandro, figlio del "barone di San Lorenzo", al quale il carcere di L'Aquila aveva vietato il passaggio di oggetti con la bambina di 12 anni ritenendolo pericoloso

E' uno dei boss più pericolosi di Cosa nostra, sepolto al 41 bis, ma è anche un padre e per questo - secondo la Cassazione - ha diritto non solo ad avere colloqui con la figlia di 12 anni senza vetri divisori, ma anche di consegnarle piccoli regali, come dolci o giocattoli, che può acquistare all'interno del carcere di massima sicurezza de L'Aquila. Così hanno deciso per Sandro Lo Piccolo, figlio del "barone di San Lorenzo", Salvatore, i giudici della prima sezione della Suprema Corte, presieduta da Filippo Casa, respingendo il ricorso del ministero della Giustizia e del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che, invece, ritenevano pericoloso il passaggio di oggetti che avrebbe potuto consentire al mafioso di comunicare con l'esterno.

La decisione, che era stata sollecitata anche dal sostituto procuratore generale, confema quelle già sancite prima dal magistrato di Sorveglianza e poi dal tribunale di Sorveglianza, a cavallo tra il 2020 e l'anno scorso. Il diritto a mantenere un rapporto famigliare "quanto più possibile simile alla normale quotidianità" con i propri figli, specie se minorenni, con - per esempio - la consegna diretta di un regalo da parte del detenuto, per i giudici va ritenuto fondamentale e - con le dovute misure di sicurezza, indicate nella sentenza - non lede minimamente le esigenze di sicurezza rispetto ai comportamenti anche di mafiosi reclusi al 41 bis.

Era stato proprio il boss - arrestato col padre dopo anni di latitanza nel novembre del 2007 a Giardinello - a presentare un reclamo nel 2020 dopo che, in virtù di un'interpretazione di una circolare del Dap del 2017, la direzione del carcere de L'Aquila gli aveva appunto impedito di consegnare piccoli giocattoli e dolciumi alla figlia allora minorenne durante i colloqui. Il magistrato di Sorveglianza aveva accolto la richiesta di Lo Piccolo, stabilendo che la direzione del penitenziario emanasse un nuovo ordine di servizio per consentire al detenuto di acquistare al sopravvitto generi alimentari, dolci o giocattoli, da donare personalmente alla figlia durante gli incontri, disponendo che i beni restassero in magazzino fino al momento della consegna al detenuto da parte della polizia penitenziaria all'inizio del colloquio. 

Il ministero e il Dap avevano però fatto ricorso, ritenendo invece quel divieto "del tutto conforme alle finalità di controllo proprie del 41 bis" e sostenendo che "non si poteva ravvisare la lesione di alcun diritto soggettivo essendo importante, ai fini della cura degli affetti famigliari, conoscere la provenienza del dono anche se materialmente consegnato dalla polizia penitenziaria". Secondo i giudici, tuttavia, "nessun rischio potrebbe derivare da tale modalità di consegna di una piccola regalia" e non sarebbero pregiudicate "le esigenze di sicurezza proprie del regime differenziato, non potendo i beni essere preventivamente manipolati".

Nel ricorso in Cassazione, ministero e Dap hanno sottolineato poi che il 41 bis "prevede espressamente che i colloqui debbano svolgersi in modo tale da impedire il passaggio di oggetti, come ribadito dalla circolare del Dap del 2017" e avrebbero dovuto quindi prevalere le "esigenze di controllo imposte dal regime differenziato a quelle proprie del colloquio".

Argomenti bocciati adesso anche dalla Suprema Corte, con la sentenza con cui ha dato invece ragione al mafioso, mettendo in evidenza che certamente "non possono essere consegnati oggetti durante i colloqui di chi è recluso al 41 bis" ma che questa disposizione "con il tempo" è stata derogata per "i colloqui tra i detenuti e due specifiche categorie: i difensori e i figli". Tanto che i colloqui in questi casi "vengono effettuati senza vetro divisorio, secondo previsioni di circolari ormai consolidate".

I giudici non negano tuttavia che "rimane, per tutte le categorie di colloquianti, il divieto di passaggio diretto di oggetti, sull'ovvio presupposto che esso, in astratto, possa consentire di scambiare informazioni tra l'interno e l'esterno del carcere, con evidente frustrazione degli scopi cui il regime differenziato è finalizzato. L'amministrazione penitenziaria, peraltro, si è fatta carico dell'esigenza di preservare le relazioni famigliari, in specie nei confronti di minori che si trovano in una fase delicata di formazione della loro personalità, la quale potrebbe essere incisa negativamente dalla condizione detentiva del genitore e dalla connessa difficoltà di intrattenere un rapporto con quest'ultimo". Esigenza che "viene considerata come 'proiezione' di diritti fondamentali del minore e del detenuto".

Ma l'invio di un pacco con i regali al termine del colloquio "è stata ritenuta in contrasto con le esigenze di armonico sviluppo della personalità della minore e delle relazioni famigliari, di chiara ascendenza costituzionale - scrive la Cassazione - sul presupposto che la consegna diretta dell'oggetto da parte del genitore potesse assumere un significato ben più pregnante sul piano affettivo, di quella effettuata dal personale penitenziario".

Per la Suprema Corte "le esigenze di sicurezza si ritengono sufficientemente garantite dalle modalità di svolgimento del colloquio visivo sottoposto a videoregistrazione e dalla custodia dei generi acquistati al sopravvitto nel magazzino sino al momento del colloquio, senza possibilità dunque per l'interessato di entrarvi in contatto in alcun modo e di poterli previamente manipolare". Anche perché "il detenuto viene perquisito prima del colloquio e può portare con sé solo fazzolettini di carta e una bottiglia d'acqua senza etichetta, senza quindi penne o altri strumenti con cui manipolare gli oggetti che consegna al minore, e la vigilanza della telecamera che registra l'intero colloquio con ascolto da parte dell'operatore garantisce la possibilità di intervento in caso di sospetto".

Per questo "ne consegue che l'impossibilità che la consegna dei menzionati oggetti, attuata in un contesto di assoluto controllo da parte dell'amministrazione penitenziaria, possa determinare alcuna situazione di rischio rispetto alle esigenze proprie del regime differenziato (e segnatamente la strumentalizzazione del colloquio per realizzare, attraverso il minore, forme di indebita comunicazione con il sodalizio criminale di provenienza), deve concludersi per la legittimità della decisione adottata e, per converso, per l'infondatezza delle censure dell'Amministrazione ricorrente".

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