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Mafia Brancaccio

La Cassazione dà ragione al boss Graviano: "Ha diritto alle sue coperte e al suo sapone"

Il mafioso di Brancaccio aveva chiesto di poter usare un corredo e prodotti personali, ma il tribunale di Sorveglianza di Perugia aveva respinto le sue richieste. Provvedimento che ora è stato annullato con rinvio dai giudici: "Soffre di alcune allergie, a rischio la sua salute"

Il boss di Brancaccio, Giuseppe Graviano, recluso al 41 bis nel carcere di Terni, ha diritto alle sue coperte, alle sue tovaglie e al suo bagnoschiuma: soffrirebbe infatti di diverse patologie e allergie e andrebbe dunque tutelato il suo diritto alla salute. E' questa in sintesi la decisione della prima sezione della Cassazione che ha annullato con rinvio il provvedimento emesso a gennaio dal tribunale di Sorveglianza di Perugia, che in maniera illegittima perché "con motivazione del tutto mancante" aveva invece rigettato le istanze del detenuto: dovrà quindi esprimersi un nuovo collegio.

Nel suo ricorso il mafioso chiedeva anche che non gli venisse somministrato cibo in stoviglie e contenitori di plastica, non tanto per questioni di ecosostenibilità, ma sempre perché a suo avviso questo avrebbe potuto pregiudicare la sua salute. Su questo punto il tribunale di Sorveglianza gli aveva dato ragione, ma a ricorrere in Cassazione è stato il ministero della Giustizia, rimarcando come i materiali fossero tutti ad uso alimentare ed escludendo quindi ci potesse essere qualsiasi pericolo per Graviano (e gli altri detenuti, anche comuni). In questo caso la Suprema Corte ha accolto l'istanza del ministero e ha annullato con rinvio anche questo aspetto del provvedimento.

Un'altra questione che secondo la Cassazione dovrà essere nuovamente vagliata è quella, sollevata dal boss stragista, legata alle continue perquisizioni - anche manuali - che sarebbe costretto a subire in cella, "in violazione del suo diritto alla libertà personale e alla riservatezza". Questo, così come quanto attiene al corredo e ai prodotti per l'igiene, per i giudici va infatti a toccare la sfera dei diritti fondamentali della persona - come quello a non essere sottoposti a trattamenti inumani e degradanti e, appunto, alla salute - "presidiati da specifiche disposizioni di rango costituzionale".

La lunga lista di doglianze da parte di Graviano era stata integralmente rigettata con un'ordinanza del 18 dicembre 2018 dal magistrato di Sorveglianza di Spoleto. A gennaio scorso era poi arrivata la decisoione del tribunale di Sorveglianza di Perugia che aveva invece accolto parzialmente le richieste del boss, in relazione alla somministrazione del cibo in contenitori di plastica "sul presupposto - riporta la Suprema Corte - che tali materie avrebbero rilasciato con facilità particelle che avrebbero potuto essere ingerite, con conseguente pregiudizio per la salute del soggetto". Questo provvedimento ha fatto scattare il ricorso sia di Graviano che del ministero.

La difesa del detenuto ha rimarcato, tra l'altro, che fosse illegittimo il rigetto della richiesta di "usufruire di un corredo di proprietà personale (coperte e teli da bagno), nonché di detergenti per la pulizia, pur essendo Graviano affetto da diverse patologie, anche di tipo allergico, le quali necessitano di particolari e quotidiane accuratezze, la cui mancanza inciderebbe sul suo benessere fisico, pregiudicando il diritto alla salute". Così come ha ritenuto i costanti controlli, con perquisizioni anche manuali, lesivi del suo diritto alla libertà personale e alla riservatezza. Argomenti che la Cassazione adesso ha ritenuto fondati.

Il ministero, dal canto suo, in relazione all'uso delle stoviglie in plastica ha messo in evidenza che l'ordinamento penitenziario stabilisce da una parte che "è vietato l'acquisto e/o il possesso di generi confezionati in contenitori di metallo, vetro o altra lega" e che "il regolamento interno stabilisce, nei confronti di tutti i detenuti o internati dell'istituto, i generi e gli oggetti di cui è consentito il possesso, l'acquisto e la ricezione, finalizzati alla cura della persona e all'espletamento delle attività trattamentali, culturali, ricreative e sportive". Secondo il ministero, quindi, "non sussisterebbe un diritto soggettivo ad acquistare un particolare utensile non conforme, per tipologia, a quelli previsti da apposita tabella ministeriale" e "non si ravviserebbe alcun diritto del detenuto ad acquistare e detenere un particolare strumento per il consumo dei pasti piuttosto che un altro, considerato che quelli inseriti nella tabella sarebbero di ampio e diffuso consumo".

Inoltre, sostiene ancora il ministero, "in relazione all'inopportunità di conservare i cibi, soprattutto caldi, in contenitori di plastica, posto che tali materie con facilità rilasciano particelle che possono essere ingerite, con possibile pregiudizio per la salute" in realtà "non soltanto i cibi sono venduti confezionati in recipienti in plastica, ma è notorio che molte confezioni di cibi in plastica possono essere inserite nei forni a microonde per riscaldarli, così palesemente smentendo quell'affermazione, essendo la plastica dannosa solo nel caso contenga Bpa, ovvero di Bisfenolo A". Quindi "affermare che va evitata la conservazione dei cibi nei contenitori di plastica sarebbe un'affermazione apodittica e del tutto generica". E la Suprema Corte ha condiviso questa impostazione.

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