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Giovedì, 25 Aprile 2024
Mafia

Ergastolano al 41 bis, il boss e killer di Porta Nuova vuole un permesso premio: no dei giudici

La richiesta di Giovanni Di Giacomo, condannato per due omicidi e per mafia, oltre che per il tentativo di uccidere a colpi di fornellino un altro detenuto nel 2011: "Vorrei solo passare qualche ora con i miei parenti nell'area verde del carcere". La Cassazione boccia l'istanza: "C'è il pericolo di fuga e la sua indole cruenta è rimasta immutata nel tempo"

E' in cella, al 41 bis, da ormai 31 anni e sta scontando non solo l'ergasolo per due omicidi commessi all'inizio degli anni Ottanta, ma anche condanne per mafia e per il tentativo di uccidere un altro detenuto a colpi di fornellino da campo nel 2011, eppure il boss di Porta Nuova - già componente del gruppo di fuoco agli ordini di Pippo Calò - Giovanni Di Giacomo, 68 anni, chiede un permesso premio. Non per tornare a Palermo, ma solo "per trascorrere - sostiene - qualche ora con i suoi famigliari nell'area verde del carcere" di Viterbo, dove è recluso. Un'istanza bocciata dai giudici in tutte le sedi e adesso anche dalla Cassazione: c'è "il pericolo di fuga" ma c'è pure "la persistente pericolosità sociale del detenuto", che ha un "impulso criminale e un'indole cruenta rimasti, nel tempo, attestati a livello incoercibile", come si legge nella sentenza.

Il boss, oltre a vedersi negato il permesso, è stato condannato dalla prima sezione della Suprema Corte, presieduta da Vincenzo Siani, a pagare le spese processuali. La pronuncia è interessante perché mette in luce come a Di Giacomo, nonostante i suoi pesanti precedenti, non mancherebbero i requisiti "oggettivi" per ottenere un permesso premio - e questo per via delle più recenti pronunce della Consulta - ma quelli "soggettivi". 

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Il boss sconta il carcere a vita per l'omicidio di Natale Tagliavia, trovato incaprettato il 18 settembre del 1981, ma anche per quello di Filippo Ficarra, eliminato col metodo della lupara bianca nel 1982. Il mafioso aveva anche cercato di uccidere un boss storico come Gerlando Alberti all'interno del carcere Ucciardone e, più recentemente, nel 2011, mentre era recluso a Padova, per poco non aveva ucciso un altro detenuto, Francesco Bruno, che era sopravvissuto alla violenta aggressione soltanto grazie ad una serie di interventi chirurgici.

Come è emerso da un'inchiesta del 2014, poi, Di Giacomo comandava ancora dal 41 bis. Al fratello Giuseppe, assassinato proprio nel marzo di quell'anno in via Eugenio l'Emiro, spiegava durante i colloqui: "A te ti abbiamo fatto noialtri". Era stato proprio Giuseppe Di Giacomo, dopo l'arresto di Alessandro D'Ambrogio nel luglio 2013, a prendere infatti la guida di Porta Nuova. Ma il boss ergastolano dalla sua cella ordinava anche un omicidio: "Nel sacco... l'importante è che lo dovete seppellire - diceva al fratello poi ucciso - tutto qua è il discorso... Gli togliete i vestiti, le scarpe, hai capito? Quando viene il crasto battilo sempre in capo per evitare scruscio".

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Sono tutti elementi che per i giudici certificano la "pericolosità sociale" di Di Giacomo, ma anche il rischio che possa scappare se gli venisse concessa la possibilità di uscire dal carcere con un permesso. Peraltro - come rimarca la Cassazione - la formula pensata dal boss proprio per cercare di azzerare il pericolo di fuga, cioè di restare nell'area verde del penitenziario, non è prevista: il permesso per sua natura prevede infatti l'uscita del detenuto dall'istituto dov'è recluso.

Il tribunale di Sorveglianza di Roma il 13 gennaio scorso aveva rigettato il reclamo del boss, dopo che la sua istanza per ottenere il permesso premio era stata già respinta dal magistrato di Sorveglianza di Viterbo, a novembre del 2020. Di Giacomo si era quindi appellato alla Suprema Corte che ha a sua volta rigettato il suo ricorso, ritenendolo infondato.

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Non mancherebbero, secondo i giudici, "i presupposti oggettivi" per concedere un permesso premio al detenuto, anche con i precedenti di Di Giacomo, e questo alla luce delle pronunce della Corte Costituzionale che hanno previsto la concessione di questi benefici pure ai condannati per mafia, anche in assenza di collaborazione con la giustizia, ma solo se vengono acquisiti elementi tali da escludere sia l'attualità dei collegamenti del mafioso con la criminalità organizzata che il pericolo di ripristino di questi stessi collegamenti.

A Di Giacomo mancano invece i requisiti "soggettivi" e la sua pericolosità - mette in evidenza la Cassazione - è stata peraltro accertata nuovamente poco più di un anno fa, il 17 giugno 2021, in sede di verifica del decreto di proroga del regime del 41 bis. Per concedere il permesso premio, si legge nella sentenza, "il magistrato di Sorveglianza deve verificare i requisiti della regolare condotta del detenuto e dell'assenza di pericolosità sociale, corrispondenti alla funzione premiale dell'istituto, nonché il profilo della funzionalità rispetto alla cura degli interessi affettivi, culturali, di lavoro del detenuto" e nel caso di Di Giacomo la verifica ha dato esito negativo. Da qui il rigetto del ricorso e la condanna a pagare le spese processuali.

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