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Mafia, "volevano ricostituire la Cupola di Cosa nostra": in appello condannati 43 tra boss e gregari

La sentenza è stata emessa con il rito abbreviato. Ribaltato il verdetto per Massimo Mulè, arrestato la settimana scorsa, che era stato assolto e al quale sono stati inflitti adesso 11 anni e 4 mesi. Piccoli sconti per altri imputati. Assolti in 5 di cui 3 ritenuti invece colpevoli in precedenza

A pochi mesi dalla morte in carcere, al 41 bis, del boss Totò Riina, tentarono di ricostituire la Commissione provinciale di Cosa nostra, riportandone i vertici - occupati per diversi decenni dai corleonesi - a Palermo. Un'operazione che venne bloccata quasi in diretta dai carabinieri con il blitz "Cupola 2.0" del 4 dicembre del 2018. Adesso, a 4 anni dagli arresti e dopo le pesanti condanne inflitte in primo grado dal gup Rosario Di Gioia con il rito abbreviato nel dicembre 2020, la seconda sezione della Corte d'Appello, presieduta da Giovanni Marino, ha sostanzialmente confermato il verdetto per 48 imputati.

I giudici hanno concesso dei piccoli sconti ad alcuni o riconosciuto la continuazione con altre condanne e hanno invece del tutto ribaltato il verdetto per Massimo Mulè - arrestato per mafia con l'operazione "Centro" di giovedì scorso - assolto in primo grado ed ora condannato a 11 anni e 4 mesi. Verdetto ribaltato anche per Giovanni Cancemi (che era stato condannato a 8 anni, è difeso dall'avvocato Tommaso De Lisi), per Michele Madonia (difeso dagli avvocati Filippo Gallina e Michele Giovinco, che aveva avuto 8 anni e 8 mesi) e Antonio Giovanni Maranto (che aveva avuto 2 anni, è difeso dall'avvocato Vincenzo Giambruno) che sono stati adesso del tutto assolti. Confermate le assoluzioni già sancite in primo grado per Giusto Sucato (difeso dall'avvocato Domenico La Blasca) e di Nicolò Orlando (assistito dall'avvocato Domenico Cacocciola).

Al vecchio boss di Pagliarelli, Settimo Mineo, che secondo la Procura sarebbe stato a capo della nuova Cupola sono stati inflitti 21 anni (ne aveva avuti 16), ma con il riconoscimento della continuazione. Condanne confermate invece per Leandro Greco, detto "Michele" e nipote proprio del "papa" di Cosa nostra, che dovrà scontare 12 anni, così come per Calogero Lo Piccolo, figlio del "barone" di San Lorenzo, Salvatore, che aveva avuto 27 anni in continuazione con una precedente condanna. 

Sconti di pena sono stati concessi a Stefano Albanese che passa da 9 anni e 2 mesi a 9 anni, Carmelo Cacocciola (da 7 anni a 6 anni e 8 mesi), Filippo Cusimano (da 9 anni e 4 mesi a 9 anni), Filippo Di Pisa (da 8 anni e 8 mesi a 8 anni), Salvatore Ferrante (da 2 anni e 8 mesi a un anno, è difeso dall'avvocato Carmelo Ferrara), Giusto Francesco Mangiapane (da 8 anni a 6 anni), Fabio Messicati Vitale (da 12 anni a 10 anni, è difeso dall'avvocato Rosalia Zarcone), Salvatore Sorrentino (da 12 anni e 8 mesi a 10 anni), Gregorio Di Giovanni, boss di Porta Nuova (da 15 anni e 4 mesi a14 anni), e Maurizio Crinò (da 10 anni a 9 anni e 4 mesi).

Ad alti imputati, come detto, è stata riconosciuta la continuazione, riducendo dunque la pena complessiva che devono scontare. E' il caso, oltre che di Mineo, di Salvatore Troia (che aveva avuto 9 anni) che dovrà stare in carcere complessivamente per 11 anni e 4 mesi e Andrea Ferrante (aveva avuto 8 anni, sono diventati 12 in continuazione), ma anche dei due pentiti (fondamentali per l'inchiesta) Filippo Bisconti (aveva avuto 6 anni ora sono 13 in continuazione liberazione) e Francesco Colletti (aveva avuto 6 anni e mezzo diventati ora 10 anni e 10 giorni), per i quali i giudici hanno disposto anche la scarcerazione.

Per tutti gli altri imputati sono state invece confermate le condanne: Filippo Annatelli, boss di corso Calatafimi (13 anni e 4 mesi), Giuseppe Bonanno (5 anni e 8 mesi), Francesco Caponetto (13 anni e 4 mesi), Giovanna Comito (un anno e 8 mesi pena sospesa), Giuseppe Costa (9 anni), Rubens D'Agostino (10 anni), Vincenzo Ganci (8 anni e 8 mesi), Michele Grasso (8 anni e 8 mesi), Marco La Rosa (6 anni e 8 mesi), Gaetano Leto (12 anni e 8 mesi), Erasmo Lo Bello (12 anni), Domenico Mammi (2 anni), Sergio Macaluso (2 anni), Matteo Maniscalco (6 anni e 8 mesi), Luigi Marino (6 anni e 8 mesi), Giovanni Salvatore Migliore (8 anni e 8 mesi), Salvatore Mirino (9 anni e 4 mesi), Domenico Nocilla (9 anni e 8 mesi), Salvatore Pispicia (12 anni), Gaspare Rizzuto (12 anni e 4 mesi), Michele Rubino (10 anni e 8 mesi), Giovanni Salerno (10 anni e mezzo), Salvatore Sciarabba (14 anni), Giuseppe Serio (13 anni e 4 mesi) e Giovanni Sirchia (8 anni).

Sono stati anche confermati anche il diritto al risarcimento e le provvisionali (per oltre 150 mila euro) alle parti civili, tra le quali il grande assente è il Comune di Palermo, che non ha mai chiesto di costituirsi. Le provvisionali sono state riconosciute a 13 imprenditori che si erano ribellati al pizzo - ben 28 gli episodi estorsivi ricostruiti con l'inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca (oggi procuratore capo a Caltanissetta) e dai sostituti Amelia Luise (oggi alla Procura europea), Francesca Mazzocco, Dario Scaletta, Gaspare Spedale e Bruno Brucoli - ma anche a diverse associazioni antiracket, ovvero Centro Pio La Torre (rappresentato dagli avvocati Ettore Barcellona e Francesco Cutraro), Addiopizzo (avvocato Salvatore Caradonna), Confcommercio Palemo (avvocato Fabio Lanfranca), Sos Impresa, Sicindustria e Confartigianato (rappresentate, tra gli altri, dagli avvocati Anna Tirrito, Fausto Maria Amato e Alfredo Galasso).

Parte civile anche i Comuni di Villabate, Ficarazzi e Misilmeri, rappresentate dagli avvocati Barcellona e Cutraro, ma è stato disposto già in primo grado che il danno venga quantificato davanti al tribunale civile.

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