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Mafia e buttafuori abusivi in pub e discoteche: condannati il boss Massimo Mulè e il cognato

I due, che sono stati processati con l'abbreviato, erano stati arrestati nel blitz "Octopus" dei carabinieri, a settembre del 2019. Secondo la Procura, il mafioso avrebbe imposto l'assunzione del parente al "Reloj". Per altri imputati è in corso il dibattimento

Secondo la Procura nelle discoteche e nei locali della città e della provincia a gestire la vigilanza sarebbe stata anche Cosa nostra, imponendo pure i "suoi" buttafuori abusivi. Oggi il gup Donata Di Sarno ha condannato a 6 anni il boss Massimo Mulè e a 5 anni e 4 mesi il cognato Vincenzo Di Grazia, che erano stati arrestati dai carabinieri nell'ambito del blitz "Octopus", messo a segno a settembre del 2019.

Il giudice, che ha processato gli imputati con il rito abbreviato, ha quindi accolto le richieste dei sostituti procuratori Giorgia Spiri e Gaspare Spedale, che avevano invocato pene un po' più alte, cioè 8 anni di carcere per Mulè e 6 anni per Di Grazia. E' tuttora in corso il dibattimento per altri imputati.

Secondo l'accusa i boss - a cominciare proprio da Mulè - avrebbero imposto i "loro" sistemi di vigilanza in pub e discoteche, ma anche in occasione di feste in diversi locali della provincia, tra il 2014 e due anni fa. Mulè, in base alla ricostruzione della Procura, avrebbe brigato perché suo cognato fosse impiegato stabilmente nella gestione della sicurezza al "Reloj". 

Attraverso un altro imputato, Andrea Catalano, il boss avrebbe imposto alla titolare del noto locale, nel 2016, l'assunzione di Di Grazia, anche se era considerato da tutti "un cretino". Catalano, secondo gli inquirenti, avrebbe pressato la proprietaria: "A me non m'interessa niente, tu mi devi mettere a Vincenzo (Di Grazia, ndr)! Chi ti resta fuori, ti resta fuori!". Ma avrebbe anche rivolto minacce ancora più pesanti al responsabile della sicurezza: "Ti spiego una cosa meglio... Tu hai due figli, sono la tua vita, vero è? Il Signore ci deve guardari i tuoi figli...".

Mulè e Di Grazia, attraverso i loro difensori, gli avvocati Giovanni Castronovo e Marco Clementi, hanno sempre negato gli addebiti. Il gup Di Sarno, inoltre, ha respinto (come già aveva fatto il giudice precedente) la richiesta dei pm di sentire il pentito Alfredo Geraci, fedelissimo del boss di Porta Nuova Alessandro D'Ambrogio che, l'anno scorso, aveva confermato gli interessi di Cosa nostra nei servizi di vigilanza.

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