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Venerdì, 19 Aprile 2024
Mafia Palazzo Reale-Monte di pietà

Mafia e buttafuori abusivi nei locali, chiesta la condanna del boss Massimo Mulè e del cognato

Nello stralcio in abbreviato nato dall'inchiesta "Octopus", la Procura ha invocato 8 anni per il mafioso e 6 per Vincenzo Di Grazia. Secondo l'accusa il primo avrebbe imposto l'assunzione del parente al "Reloj". Altri imputati sono già stati rinviati a giudizio e il dibattimento è in corso

Il giudice è cambiato ed il processo in abbreviato a carico del boss Massimo Mulè e del cognato Vincenzo Di Grazia, legato alla presunta gestione mafiosa della vigilanza nei locali della città e della provincia, anche attraverso buttafuori abusivi, è ricominciato davanti al gup Donata Di Sarno. Ed è a lei che stamattina i sostituti procuratori Giorgia Spiri e Gaspare Spedale hanno chiesto nuovamente la condanna dei due imputati.

La richiesta di pena è la stessa già formulata al precedente giudice, Guglielmo Nicastro, esattamente un anno fa: ovvero 8 anni di reclusione per Mulè e 6 per Di Grazia. Il processo è nato dall'inchiesta "Octopus" dei carabinieri, che risale a settembre del 2019. Gli altri imputati hanno tutti scelto il dibattimento, che è tuttora in corso.

Il pentito: "I buttafuori sono cosa nostra, li pagano 3 mila euro al mese"

Secondo l'accusa i boss - a cominciare proprio da Mulè - avrebbero imposto i "loro" sistemi di vigilanza in pub e discoteche, ma anche in occasione di feste in diversi locali della provincia, tra il 2014 e due anni fa. Mulè, in base alla ricostruzione della Procura, avrebbe brigato perché suo cognato fosse impiegato stabilmente nella gestione della sicurezza al "Reloj". 

Attraverso un altro imputato, Andrea Catalano, il boss avrebbe imposto alla titolare del noto locale, nel 2016, l'assunzione di Di Grazia, anche se era considerato da tutti "un cretino". Catalano, secondo gli inquirenti, avrebbe pressato la proprietaria: "A me non m'interessa niente, tu mi devi mettere a Vincenzo (Di Grazia, ndr)! Chi ti resta fuori, ti resta fuori!". Ma avrebbe anche rivolto minacce ancora più pesanti al responsabile della sicurezza: "Ti spiego una cosa meglio... Tu hai due figli, sono la tua vita, vero è? Il Signore ci deve guardari i tuoi figli...".

Mulè e Di Grazia, per i quali ora la Procura ha chiesto nuovamente la condanna, attraverso i loro difensori, gli avvocati Giovanni Castronovo e Marco Clementi, hanno sempre negato gli addebiti. Il gup Di Sarno, inoltre, ha respinto (come già aveva fatto il giudice precedente) la richiesta dei pm di sentire il pentito Alfredo Geraci, fedelissimo del boss di Porta Nuova Alessandro D'Ambrogio che, l'anno scorso, aveva confermato gli interessi di Cosa nostra nei servizi di vigilanza.

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