Il processo alla mafia di Brancaccio riparte da zero: rinviati a giudizio tutti e 15 gli imputati
Erano coinvolti nell'inchiesta "Maredolce" del 2017 ed erano stati pure condannati in primo grado. Tutto venne annullato a maggio scorso in appello, dove si stabilì che il giudice che li aveva rinviati a giudizio era incompatibile, avendo in precedenza firmato alcuni decreti di intercettazione. Sette di loro hanno ora scelto l'abbreviato
Dopo pesanti condanne in primo grado, il processo contro la mafia di Brancaccio, nato dall'inchiesta "Maredolce" del 19 luglio del 2017, era stato completamente azzerato in appello e diversi imputati erano tornati liberi. Oggi quel processo è ricominciato davanti al gup Rosario Di Gioia, che sta celebrando la nuova udienza preliminare: tutti e 15 gli imputati sono stati rinviati a giudizio come richiesto dal sostituto procuratore Francesca Mazzocco. Sette hanno però optato per l'abbreviato, mente per gli altri il dibattimento inizierà a metà luglio davanti alla quinta sezione del tribunale.
L'annullamento del decreto che disponeva il giudizio era stato deciso il 31 maggio scorso dalla prima sezione della Corte d'Appello, presieduta da Mario Fontana, che aveva peraltro recepito una pronuncia della Cassazione risalente al 26 novembre del 2018: il giudice che mandò a processo gli imputati, infatti, era in realtà incompatibile perché da gip aveva firmato alcuni decreti di intercettazione.
A sollevare il caso sin dall'inizio del processo (ma per molto tempo senza successo), poi anche sulla scorta di una sentenza delle Sezioni Unite emessa a luglio del 2020, erano stati gli avvocati Antonio Turrisi, Salvo Priola, Guido Galipò, CorradoSinatra e Tommaso De Lisi. L'azzeramento del processo aveva giovato soprattutto a coloro che avevano rimediato in primo grado le pene più pesanti, così come sancite dalla seconda sezione del tribunale il 10 luglio del 2020, ovvero Vincenzo Vella (20 anni), Giuseppe Caserta (18 anni), Claudio D'Amore e Giovanni "Johnny" Lucchese (17 anni), nonché Cosimo Geloso (16 anni). Lucchese, nipote di uno dei killer più feroci di Cosa nostra, Giuseppe Lucchese, alias "Lucchiseddu", aveva a un certo punto deciso di collaborare con la giustizia, salvo poi tornare sui suoi passi.
Proprio loro, che avevano avuto le condanne più severe ora hanno scelto l'abbreviato (in modo da ottenere uno sconto di un terzo della pena), assieme a Maurizio Stassi e Tiziana Li Causi (aveva avuto entrambi un anno e mezzo).
Per gli altri le pene erano state molto più lievi e hanno optato per il dibattimento: Bruno Mazzara (aveva avuto 2 anni e 2 mesi ed era già scarcerato dopo la sentenza di primo grado), Francesco Paolo Saladino e Pietro Clemente (avevano avuto 2 anni), Marcello La Cara (un anno e 8 mesi), Francesco Tarantino (un anno e mezzo), Michele Rubino (8 mesi), Vincenzo Passantino e Salvatore Scafidi (6 mesi a testa). Ad alcuni imputati era contestata l'associazione a delinquere finalizzata alla frode fiscale con l'aggravante mafiosa, ma proprio l'aggravante è venuta meno: era già caduta nel primo processo in tribunale e questa decisione è diventata definitiva.
Nel processo sono parte civile, tra gli altri, il Centro Pio La Torre (rappresentato dagli avvocati Ettore Barcellona e Francesco Cutraro), Sos Impresa (avvocati Fausto Maria Amato e Maria Luisa Martorana) e Sicindustria.
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Il pasticcio che aveva portato all'azzeramento del processo parte da lontano. Già durante l'udienza preliminare, infatti, gli avvocati avevano ricusato il gup Guglielmo Nicastro che, tuttavia, rinviò a giudizio gli imputati prima ancora che la Corte d'Appello si pronunciasse sulla ricusazione. I giudici diedero poi torto agli avvocati che impugnarono la decisione in Cassazione. Qui, invece, a novembre 2018, venne sanicita l'incompatibilità del gup che aveva disposto alcune intercettazioni durante le indagini.
Nel frattempo, però, il dibattimento era già iniziato in tribunale e il collegio decise di andare avanti. Con il ricorso in appello, il problema della ricusazione è stato nuovamente sollevato e stavolta i giudici hanno deciso di azzerare tutto, sancendo la nullità del decreto di rinvio a giudizio.
Nello stesso processo erano stati scagioonati in otto e per loro le assoluzioni sono ormai definitive. Si tratta di Paola Carini, Paiva Isabel Cristina De Oliveira, Giovanni Di Pasquale, Alfonso Domenico Imperiale, Antonio Ingo, Stefano Marino, Filippo Rotolo e Pietro Rovetto.
Con l'inchiesta "Maredolce" era tra l'altro emerso che i boss, oltre ai traffici più tradizionali, sarebbero riusciti a fare affari milionari in tutta Italia con lo smercio di pallet e imballaggi industriali, sfruttando prestanome e società cartiere, tanto che erano stati sequestrati beni per 60 milioni.