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Il boss al 41 bis: "Voglio la tv pure di notte per essere informato", ma la Cassazione dice no

Inammissibile il ricorso di Giuseppe Biondino, figlio dell'autista di Totò Riina, che avrebbe voluto guardare programmi anche da mezzanotte alle 7 e riteneva leso l'articolo 21 della Costituzione. I giudici: "Nessuna violazione, più importante il diritto al riposo degli altri detenuti"

Il boss detenuto al 41 bis vuole guardare la televisione anche di notte - precisamente tra mezzanotte e le 7 del mattino - invocando l'articolo 21 della Costituzione e il diritto di ogni cittadino di essere informato. Per la Cassazione invece - come già per il tribunale di Sorveglianza di Torino - è più importante il diritto al riposo degli altri detenuti, visto che in cella - nonostante il carcere "duro" - c'è la possibilità di guardare la tv durante tutte le restanti ore della giornata e (anche se "irrazionale", come scrive la stessa Suprema Corte) resta sempre l'opportunità di ascoltare la radio anche di notte.

giuseppe biondino-2L'ordinanza emessa dalla settima sezione della Cassazione, presieduta da un magistrato che per diversi anni ha lavorato anche a Palermo, Angela Tardio (estensore Marco Vannucci), ha così dichiarato inammissibile il ricorso del mafioso Giuseppe Biondino, 40 anni, (nella foto) figlio di Salvatore, autista del "capo dei capi" di Cosa nostra, Totò Riina, nonché nipote di Girolamo, ritenuto a capo del mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo. La battaglia del boss al 41 bis per il diritto a guardare la tv anche di notte era iniziata due anni fa e, in prima battuta, l'aveva pure vinta.

Il magistrato di Sorveglianza di Torino, infatti, aveva accolto l'istanza di Biondino il 19 maggio di due anni fa riconoscendo che nei suoi confronti non dovesse essere applicata una parte di una circolare del Dap del 2017 relativa alla "fruizione della tv in orari stabiliti, con accensione alle 7 e spegnimento alle 24 al fine di non disturbare il riposo degli altri detenuti". L'avvocato del carcerato aveva sostenuto che "l'arbitrario spegnimento della tv dalle 24 alle 7 viola l'articolo 21 della Costituzione" e che sarebbe stata illegittima ogni limitazione imposta ai detenuti al 41 bis, come quella prevista dalla circolare del Dap, che non fosse motivata da "misure di elevata sicurezza interna ed esterna", necessarie per interrompere i contatti con le organizzazioni criminali a cui questi detenuti appartengono.

La decisione era stata però ribaltata dopo pochi mesi, a dicembre 2018. E la Cassazione, nella sua ordinanza, ne sintetizza i motivi: "Il divieto di fruizione dei programmi televisivi (visibili su un numero limitato di canali mediante l'uso di un telecomando 'piombato') in orario diverso da quello indicato dalla circolare del Dap è quella di non disturbare il riposo degli altri detenuti; il diritto all'informazione di ciascun detenuto (e quindi anche di Biondino) è ampiamente garantito dalla possibilità di accesso ai programmi televisivi dalle 7 alle 24 di ogni giorno; la norma si limita dunque a disciplinare tale diritto 'in modo da rendere tollerabile la civile convivenza tra tutti i ristretti'; non vi è dunque lesione grave del diritto all'informazione del detenuto, avendo egli la possibilità di 'poter vedere repliche e ricevere aggiornamenti relativi agli eventi sportivi, di cronaca ecc. attraverso i principali canali televisivi nel corso di tutta la giornata (non vi è un telegiornale notturno che non replichi notizie date in giornata o le cui novità non siano immediatamente replicate col primo notiziario del mattino) nonché la stessa, seppur irrazionale, permanenza della possibilità di ascoltare invece la radio".

A nulla è valso ribadire che in questo modo sarebbe stato leso il diritto fondamentale all'informazione di Biondino: la Suprema Corte spiega infatti che "la compressione, per sette ore di ogni giorno, del diritto del ricorrente all'informazione quotidiana anche mediante la visione e l'ascolto di programmi di informazione trasmessi per via televisiva (indirettamente tutelato dall'articolo 21 della Costituzione) non determina alcun 'grave pregiudizio', all'esercizio di tale diritto, comunque ampiamente garantito" e che "tale compressione temporanea di tale diritto trova giusitificazione razionale nell'esigenza di tutelare il riposo degli altri detenuti nelle ore in cui vige il divieto". Il ricorso di Biondino è stato quindi giudicato inammissibile e il detenuto è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di tremila euro alla Cassa delle ammende. 
 

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