rotate-mobile
Mafia Bagheria

Uccidere il ribelle, il progetto del boss: "Se finiamo in carcere, chi è fuori gli ammazza la famiglia"

Massimiliano Ficano, uno degli otto fermati del blitz "Persefone", ritenuto dagli investigatori il nuovo capo clan di Bagheria, aveva deciso di dare una lezione a Fabio Tripoli per aver messo in discussione la leadership della famiglia mafiosa: "Questo si prende, si va a prendere a casa... e lo scannano come un vitello"

"Questo si prende, si va a prendere a casa... e lo scannano come un vitello! Lo puoi macinare". L'ordine per il pestaggio era arrivato direttamente da Massimiliano Ficano, uno degli otto fermati del blitz antimafia "Persefone" dei carabinieri del comando provinciale di Palermo, ritenuto dagli investigatori il nuovo capo della famiglia mafiosa di Bagheria. Bisognava dare una lezione a Fabio Tripoli, anche lui finito in manette oggi con l'accusa di maltrattamenti in famiglia, punirlo non solo per le sue intemperanze ma, soprattutto, per aver messo in discussione la leadership della famiglia mafiosa.

"Palermo ha sempre fatto quello dice Bagheria" | Video

Non sapendo di essere intercettati dagli investigatori dell'Arma i boss si lamentavano del comportamento di Tripoli. Un uomo violento che non aveva esitato a picchiare il padre "a colpi di catena" e la compagna. "L'ha spogliata tutta, in mezzo alla strada...", raccontava Giuseppe Cannata, uno dei fermati, al capomafia, aggiungendo: "Sono arrivato io. Gli ho detto 'oh, pezzo di scafazzato che sei! Ma dignità ne hai? Ora prenditi le cose e vattene'". Un ammonimento che era servito ad allontanarlo solo per un po' di tempo. Poco dopo, infatti, Cannata era stato raggiunto da una telefonata. "Dice 'c'è quello qua... e gli sta scassando qua tutto'". A quel punto il boss aveva chiamato il cugino. "Devi andare da quel cornutazzo e me lo devi ammazzare a bastonate' gli ho detto". Un tentativo di pestaggio non andato a buon fine perché Tripoli si sarebbe allontanato.

"E' una spazzatura di persona, proprio è un'immondizia di persona", diceva Cannata e Ficano annuiva: "Ora lui si deve levare il vizio di camminare". La spedizione punitiva avvenne il 19 agosto scorso. Tutto fu programmato nei minimi particolari. "Si deve storpiare questo e basta", diceva il capomafia. Bisognava portarlo in campagna. "E se non viene ci andiamo a casa", diceva uno degli indagati. L'appuntamento era dopo pranzo. "Quando si deve fare sto coso?".

"Dopo mangiato, mangiamo... non dobbiamo mangiare per lui?", ragionavano. "Non se ne può più di questo. Mi nomina anche a me, io non l'ho capito, nemmeno so come è fatto. Gli rompiamo le gambe e lo andiamo a buttare...", diceva Ficano mentre il suo interlocutore rispondeva: "No, prima gli devo rompere la faccia... prima gli devo dare cinquanta pugni in faccia che gli devo fare venire le crisi". 

Tripoli fu pestato davanti casa. Con un tirapugni. Il piano iniziale di picchiarlo in campagna era andato in fumo. La vittima aveva sospettato qualcosa e aveva declinato l'invito a una scampagnata. Un rifiuto che non era servito a evitare il pestaggio. "Quello gli ha aperto tutta la testa" raccontava Giuseppe Cannata al capomafia, spiegando di aver detto alla vittima di rientrare a casa e di ringraziare il Signore che gli era finita bene. "L'ho guardato e gli ho detto: 'Stai zitto che ti è finita bene, infilati dentro!'". Un avvertimento a cui sarebbe seguito un ulteriore pestaggio se Tripoli non avesse capito il messaggio. "Ora appena lui non lo vuole capire gli ho detto, gli ho detto questo... appena non lo vuole capire lo lasciamo nella sedia a rotelle...".

Ficano tagliava corto: "Perché ora così deve andare, le bontà non pagano, chi sbaglia paga!".  E Tripoli pareva proprio non aver capito la lezione. Si armò di un'ascia, andando in giro e dicendo di essere pronto a vendicarsi e a dare fuoco a un locale inaugurato da poco dallo stesso Ficano. Un affronto a cui il capomafia era pronto a rispondere. Bisognava agire in un luogo isolato lontano da occhi indiscreti, per poi abbandonare la vittima sul posto o all'interno di un cassonetto di rifiuti. Serviva la massima riservatezza. "Però non lo dobbiamo fare sapere a nessuno. Che ci fanno prendere l'ergastolo, hai capito?", raccomandava il boss al suo interlocutore, aggiungendo che nel caso in cui dovesse succedere qualcosa a "qualcuno di noi (l'arresto, ndr) chi resta fuori e non lo... esce e gli ammazza la famiglia". Stanotte il blitz dei carabinieri del comando provinciale di Palermo che ha sventato l'omicidio. 

fonte Adnkronos

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Uccidere il ribelle, il progetto del boss: "Se finiamo in carcere, chi è fuori gli ammazza la famiglia"

PalermoToday è in caricamento