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Mafia Villagrazia

Mafia, lite tra i boss per l'eredità di Bontate: "Se lo incoccio lo faccio nuovo..."

Nuovi scenari per l'omicidio di via Falsomiele: i retroscena dell'operazione "Brasca-quattro.zero" (62 arresti). Pizzo come bancomat e regole antiche: nessuno deve sgarrare...

C'è l'insofferenza dei vecchi padrini per l'atteggiamento dei nuovi affiliati perché ai loro tempi "si lasciava a casa anche la moglie incinta se c'era da lavorare". C'è il conflitto tra figli e cugini per la "pesante" eredità di Bontate. Ci sono pure gli insospettabili a dare una mano a Cosa Nostra, come il direttore di sala del Teatro Massimo. C'è tutto questo nell'operazione "Brasca-quattro.zero" condotta stamani dai carabinieri. Per 51 persone si sono aperte le porte del carcere, 10 sono ai domiciliari, mentre per una è scattato l'obbligo di dimora (LEGGI I NOMI). I militari hanno anche messo i sigilli ad attività commerciali, imprese e beni immobili.

Il blitz nasce da due diverse indagini e ha smantellato di fatto i mandamenti di Villagrazia-Santa Maria di Gesù e San Giuseppe Jato. Le indagini sono state avviate sulla scorta dell'operazione "Nuovo Mandamento" che nell'aprile 2013 aveva impedito la ricostruzione di Cosa nostra nell'area occidentale della provincia. (LE INTERCETTAZIONI - VIDEO)

"L'HA FARI NOVO" - Dalle indagini emerge che ad avere le redini del comando erano due boss anziani. Si tratta di Mariano Marchese, 77 anni, e Gregorio Agrigento, 81 anni. Ma il rapporto tra i padrini non è sempre facile. Al contrario le intercettazioni eseguite dagli inquirenti rilevano la furia del vecchio Marchese nei confronti di Agrigento: "A Gregorio gli è partito il cervello. S’arrivu a incucciarlo, l’ha fari novo io”. Oggetto del contendere gli assetti di Cosa nostra e la gestione del patrimonio. "Uno dei motivi del contendere è - ha spiegato il procuratore aggiunto Leo Agueci - la divisione dell'eredità di Bontate. C'è un conflitto tra il figlio e i cugini. Tra loro anche il Bontà ucciso nei giorni scorsi". Un fatto che "apre nuovi scenari - ha aggiunto Lo Voi - anche se a oggi i motivi del delitto, ancora poco chiari, sembrano essere legati ad altre vicende". 

Già imputato nel primo maxi processo era libero dal 2001, oltre a essere al vertice del clan, Mario Marchese secondo gli inquirenti è stato un sicuro riferimento per i mandamenti di Corleone, Pagliarelli e San Giuseppe Jato, relazionandosi con esponenti delle famiglie di Altofonte, Monreale e Piana degli Albanesi, tutte inserite in quest'ultimo mandamento, nonchè con la famiglia di Belmonte Mezzagno.  Gregorio Agrigento, fratello di un boss ergastolano, è invece il rappresentante di una storica famiglia mafiosa della provincia (quella di San Cipirello) poi divenuto punto di riferimento per i boss di San Giuseppe Jato. Arrestato nel 2008 è tornato in libertà due anni dopo per un cavillo e aveva subito ripreso il suo posto di capo mandamento.

IL RAPPORTO TRA I BOSS - "Le interlocuzioni tra Gregorio Agrigento e Mario Marchese - spiegano i carabinieri - sarebbero state assicurate da Giuseppe Riolo, capo della famiglia di Piana degli Albanesi, che, in quella fase, agiva anche quale emissario del mandamento di Corleone. Per quanto concerne i rapporti tra la famiglia di Villagrazia e quella di Monreale, è stato accertato il legame esistente tra Mario Marchese, Carmelo La Ciura e Domenico Billeci, anche questi ultimi due tratti in arresto nell'ambito dell'indagine 'Nuovo Mandamento'".

IL "PIZZO" COME BANCOMAT -  Estorsioni e danneggiamenti restano le modalità preferite dai padrini per assicurarsi la liquidità. i carabinieri hanno ricostruito una decina di estorsioni, non denunciate. "Nessuna delle vittime ha denunciato le estorsioni - ha detto il comandante provinciale dei carabinieri Giuseppe De Riggi - per paura di ritorsioni di Cosa nostra".  I soldi venivano poi investiti in immobili e attività commerciali. I titolari, inizialmente vittime, avrebbero anzi scelto di mettersi in affari con i boss. "Come mi devo comportare?", chiedeva uno di loro al cospetto di un boss. "Nel mirino della mafia - sottolinea Agueci - anche la pasticceria Quartararo o una panineria che, secondo la famiglia di Villagrazia, non doveva aprire perchè avrebbe fatto concorrenza a una attività del clan".

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REGOLE ANTICHE, NESSUNO DEVE "SGARRARE" - "Cosa nostra - spiega il procuratore di Palermo, Lo Voi - continua a osservare le regole antiche, di cui per primo ha parlato Buscetta. La prima è la segretezza. Poi ci sono le regole per la gestione del territorio, per la gestione dei rapporti tra uomini d'onore, ma anche tra territori". C'è il divieto di parlare di argomenti legati al clan con soggetti non introdotti secondo modalità e canali appropriati; il perpetuarsi della presentazione rituale; il sostegno alle famiglie dei carcerati; il divieto di ricorrere alla giustizia dello Stato e all'obbligo di tutelare i latitanti. Vigono, poi, ancora, i requisiti "morali" per l'ingresso in Cosa nostra, come la mancanza di vincoli di parentela con i magistrati e gli esponenti delle forze dell'ordine.

FUNERALI A SPESE DEL CLAN - Dalle indagini emerge che Cosa nostra pensa a tutto. Letteralmente. Sono i clan a pagare le spese funebri in caso di morte degli affiliati. "Zio Vicè mi dica una cosa - si sente in un'intercettazione -  che quando muore un amico nostro gli fate il funerale".

I NUOVI AFFILIATI NON SODDISFANO I PADRINI - Dalle intercettazioni emerge anche l'insofferenza dei vecchi padrini per l'atteggiamento dei nuovi affiliati che sarebbero, a loro dire, poco coinvolti. "Marchese -  dice Giuseppe Governale, comandante del Ros - si lamenta dell'atteggiamento dei giovani. 'Ai suoi tempi' si lasciava anche la moglie incinta se c'era da 'lavorare'..". E' anche su questo aspetto  - sottolinea Governale - che le istituzioni devono lavorare".

QUODIANITA' MAFIOSA - Quotidianità e capacità di fare "sistema". Sono le caratteristiche della mafia secondo il colonnello De Riggi: "Le famiglie fanno affari ogni giorno. Magari affari piccoli, ma quotidiani. C'è un vero sistema che assicura la sopravvivenza".  "Purtroppo - sottolinea Agueci - come emerge anche da queste indagini, la popolazione accetta con inerzia la presenza di Cosa nostra in alcune zone del palermitano".

IL VUOTO NORMATIVO - "Credo sia il momento - dice Lo Voi - di regolamentare, con una norma ad hoc, lo scambio imprenditoriale-mafioso. La normativa attuale offre categorie che non sempre possono applicarsi ai rapporti di stretto collegamento e scambi reciproci tra la mafia e certa imprenditoria. Chi fa affari con la mafia, chi si inginocchia - ha aggiunto - dovrebbe essere inquadrato in una specifica fattispecie penale perché allo Stato, con le norme esistenti, faccio fatica ad individuare la 'categoria' idonea".

"Per evitare le infiltrazioni mafiose nelle imprese aggiudicatrici di appalti - aggiunge il procuratore aggiunto Teresi - si potrebbe ideare un sistema per il quale l'impresa vincitrice dei lavori sia costretta a rivolgersi solo a imprese confiscate alla mafia. Tutto questo darebbe un volano per aumentare il lavoro delle imprese confiscate e darebbe una garanzia di appartenenza sicura per le imprese fornitrici".

GLI INSOSPETTABILI - C'è anche il direttore di sala del Teatro Massimo tra gli arrestati. Alfredo Giordano, palermitano di 65 anni, è accusato di associazione mafiosa. "Un insospettabile ma - hanno spiegato gli inquirenti - con solidi collegamenti con l'anziano padrino del mandamento Villagrazia-Santa Maria di Gesù, Marchese. Una partecipazione a Cosa nostra - ha sottolineato Lo Voi - consapevole, convinta, addirittura rivendicata".

L'OMICIDIO TUSA - Il controllo sul territorio è capillare e nulla sfugge ai boss. Tanto che nel 2013, quando venne ucciso Giovan Battista Tusa (anziano uomo d'onore di Villagrazia ndr.), i "picciotti" si sentirono in dovere di fare subito "rapporto" a Marchese spiegando che non era stato un delitto consumato senza la sua autorizzazione, ma "solo" il frutto di una lite familiare.

I SEQUESTRI - Nel corso dell'operazione sono stati messi i sigilli a un patrimonio di almeno tre milioni di euro, nella maggior parte dei casi beni intestati in parte a prestanome. I militari hanno sequestrato terreni e locali commerciali riconducibili alla famiglia Pullarà; conti corrente; l'impresa "Di Marco Marmi" (usata per incontri e riunioni tra gli indagati); la macelleria "Di Maggio Antonina"; quote della BINGO.IT s.r.l. controllata dalla BINGO & GAMES s.r.l., riconducibile alla famiglia Adelfio (fatturato annuo di quasi due milioni di euro); quote del 20% della ERREGI s.r.l., riconducibile sempre alla famiglia Adelfio e l'impresa individuale Giuseppina Lombardo, riconducibile a Santi Pullarà.

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