Mafia, neanche il Covid frena il pizzo: estorsioni a tappeto da Brancaccio a Ciaculli, fermate 16 persone
L'operazione messa a segno all'alba di oggi. Le accuse: associazione a delinquere, traffico di droga ed estorsione. Tra i coinvolti anche Giuseppe Greco, detto il senatore, nipote del defunto boss Michele Greco, conosciuto invece come il Papa
Se qualcuno voleva comprare immobili e terreni doveva chiedere il permesso mentre i titolari di molti bar, panifici, farmacie e concessionarie d’auto dovevano versare qualcosa, anche quando le casse languivano a causa dell’emergenza Covid, per favorire gli interessi della “famiglia” e dare un sostegno ai carcerati. Chi provava a reagire doveva fare i conti con minacce, rapine o spedizioni punitive. Sono una cinquantina gli episodi di estorsione contestati dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo ai sedici indagati fermati questa mattina tra Roccella, Ciaculli e Brancaccio e accusati a vario titolo di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione aggravata, traffico e detenzione di stupefacenti e possesso di armi. Tra questi anche Giuseppe Greco, detto il senatore, nipote del defunto boss Michele Greco, conosciuto invece come il papa.
L'uscita dei fermati dalla questura | Video
I nomi degli indagati
Le indagini durate circa due anni hanno "restituito il quadro - si legge in una nota congiunta - di una porzione di territorio fortemente condizionata dalla presenza dell’associazione criminale, dove gli stessi imprenditori o commercianti, prima di avviare le loro attività, avvertivano la necessità di essere autorizzati dal referente mafioso della zona". L’elenco delle attività colpite è lunga e comprende anche supermercati, autodemolitori, macellerie, discoteche, imprese di costruzioni. Di denunce però neanche l’ombra. "In alcuni casi - spiegano ancora gli investigatori - i commercianti si sono preoccupati di non figurare nel ‘libro mastro’ delle estorsioni o di offrire un escamotage per eludere eventuali controlli di polizia".
Le intercettazioni: "Diamo i soldi ai carcerati" | Video
Dopo le operazioni antimafia concluse tra il 2017 e il 2019 - Maredolce 1 e Maredolce 2, Sperone e Cupola 2.0 - al vertice della famiglia mafiosa di Roccella, secondo gli investigatori, c’erano Giovanni Di Lisciandro e Stefano Nolano, che avrebbero gestito i proventi delle estorsioni e il traffico di droga. Tra gli elementi di spicco per i contatti con la famiglia di Ciaculli c’erano invece Angelo Vitrano e Maurizio Di Fede. Quest’ultimo è considerato "la mente operativa - aggiungono gli investigatori - con compiti di promozione e organizzazione delle attività estorsive e del traffico di droga. E’ a capo di una schiera di soldati sempre pronti non solo a raccogliere il pizzo ma anche a effettuare sistematiche perlustrazioni alla ricerca di nuove attività commerciali. Tra questi Rosario Montalbano, Salvatore Gucciardi, Onofrio Claudio Palma e Giuseppe Ciresi".
Per la famiglia di Brancaccio sono emersi invece i nomi di Girolamo Celesia e Filippo Marcello Tutino. "Celesia - sottolineano ancora gli investigatori - è considerato un personaggio di rilievo. Ha partecipato alle riunioni a massimi livelli del mandamento mafioso, anche con i Greco di Ciaculli, e coordinato le attività criminali in relazione a droga e racket". Tra i suoi punti di riferimento c’erano Gaspare Sanseverino e Giuseppe Caserta che, dopo essere stato scarcerato poco meno di due mesi fa, "si è subito proposto - aggiungono - agli attuali vertici di Brancaccio mettendosi a disposizione e rivendicando un ruolo in seno alla compagine mafiosa".
Dopo l’operazione Cupola 2.0 - che ha individuato in Settimo Mineo l’erede di Totò Riina e fatto emergere la figura dell’astro nascente della mala Leandro Greco, nipote diretto del "papa" - a prendere in mano le redini del mandamento sarebbe stato Giuseppe Greco. Si è occupato, secondo l'accusa, di relazionarsi con le famiglie mafiose di Brancaccio, Roccella e corso dei Mille anche grazie al contributo del "consigliere" Ignazio Ingrassia, detto boiacane. I due si sarebbero occupati "di gestire le dinamiche legate al sostentamento economico delle famiglie dei carcerati, reperendo le risorse grazie ad una vasta e complicata rete di attività illecite. Le indagini dei carabinieri hanno dimostrato infatti come il vertice imponesse un vero e proprio controllo del territorio intervenendo nella compravendita di terreni e immobili". In un’occasione avrebbero convinto un acquirente a rinunciare a un affare così da favorire un altro soggetto vicino a Cosa nostra.
Una conferma sull’influenza del "senatore", garantita dalla parentela con Michele Greco e il nipote Leandro, sarebbe arrivata con la risoluzione di una diatriba interna alla famiglia mafiosa di corso dei Mille. "Gli inquirenti - si conclude nella nota - hanno infatti ricostruito come fosse stata messa in discussione l’integrità, intesa nel senso di adesione alle regole non scritte imposte da Cosa nostra, di un appartenente al sodalizio, Giuseppe Giuliano detto il Folonari. La disputa, che rientrava fra le competenze di Giuseppe Greco, è stata amministrata dal boss in numerosi incontri intrattenuti con Giuliano e i membri delle altre famiglie mafiose, elementi che hanno consentito di acclarare la centralità della figura del ‘senatore’ e di acquisire indizi sull’adesione all’organizzazione criminale di Giuliano".
Nelle foto in basso, da sinistra, Giuseppe Greco, Ignazio Ingrassia, Giuseppe Giuliano